
Artisti di Voghera
Il panorama artistico comprende pittori, scultori, musicisti, scrittori, alcuni a livello internazionale. I pittori più antichi sono i fratelli Manfredino e Franceschino Boxilio da Castelnuovo, Cesare Baldrighi di Stadella, Paolo Borroni Vogherese.
Più recentemente Pellizza da Volpedo.
Una bella panoramica degli artisti d’Oltre Po:
V. G. Bono, oltrepoò pavese, vita di provincia tra cronaca e arte 1983 – CEO Voghera.
Boxilio Trittico nella chiese di Pozzolo formigaro
Boxilio da Castelnuovo (Bosilio) Manfredino e Franceschino Due fratelli pittori di origine castelnovese, furono attivi in Piemonte e Liguria nella seconda metà del XV sec. I loro affreschi sono nella Pieve di Novi Ligure, in quella di Volpedo, nella Abbazia di Rivalta Scrivia, al Castello Sforzesco di Milano e in molte sltre chiese.
Le notizie su Manfredino Boxilio sono scarse (si trova scritto anche comeUbasiglio e Bosillo), il luogo di nascita è Castelnuovo Scrivia ma probabilmente abitava e lavorava a Tortona, nella sua opera migliore, il polittico dell’Accademia Ligustica di Belle Arti a Genova, il Boxilio si firma “Manfredinus de Castronovo in Terdona“.
I suoi primi documenti pittorici conosciuti sono gli affreschi, datati al 1474, nell’abside della cappella di S. Fermo nella pieve di Novi Ligure. Furono eseguiti per conto di Giovanna Campofregoso, come dice l’iscrizione dipinta sul fondo accanto alla nobildonna. Tali pitture, raffigurano la Committente, S. Anna,la Vergine col Figlio e l’Eterno Padre.
Nel polittico dell’Accademia Ligustica a Genova, di quattro anni posteriore agli affreschi di Novi, lo stile del Boxilio si fa assai più robusto e plastico, certo sotto l’influsso dell’arte del Foppa, del Braccesco, del Brea, del Corso, attivi in quel tempo a Genova e nella Riviera ligure.
Proveniente dalla parrocchiale di Gavi, l’opera fu eseguita nel 1478, come attesta l’iscrizione posta in basso. È a due piani e manca purtroppo di alcuni scomparti laterali. Vi sono raffigurati i SS. Giacomo,Giovanni Evangelista, Giovanni Battista, Lorenzo e Pietro, la Vergine in trono col Figlio.
Pregevoli anche gli affreschi nella parrocchiale di Pontecurone, riscosse larga fama in Piemonte e in Lombardia venne chiamato nel 1490 a decorare, col fratello minore Franceschino, col Butinone e lo Zenale, la sala della Balla nel Castello Sforzesco di Milano.
Boxilio morì il 24 giugno 1496.
Continuò l’opera il fratello Franceschino, anche lui pittore, che nel 1507 firmava il trittico della chiesa della Trinità a Pozzolo Formigaro, oggi perduto.
Bibliografia:
S. Varni, Cose artistiche in Gavi, in Il Michelangelo, Genova 1855, n. 12, pp. 46-48F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria, I, Genova 1870, pp. 324, 332S. Varni, Di una tavola di Franceschino da Castelnuovo Scrivia, in Giornale ligustico, I (1874), p. 93; Id.Della Pieve di Gavi, ibid., II (1875), pp. 355-367Stara Tedde, La Pieve di Volpedo e i pittori M. e F. B., in Julia Dertona, XIII (1915), p. 3
Gabrielli, Arquata e le vie dell’oltregiogo, Torino 1959, pp. 251-260; P. Torriti
La Quadreria dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, Genova 1963, tavv. VIII, IX.
Paolo Borroni
Paolo Borroni, Figlio di Giuseppe Antonio e di Cristina Stefanini, nacque a Voghera il 12 gennnaio 1749. Stidiò a Milano (1761-65) con il Calderini, si stabilì a Parma dove frequentò all’Accademia la scuola di B. Bossi. Nel 1770 vinse una medaglia d’argento ad un concorso accademico con un disegno rappresertante Priamo che chiede ad Achille il corpo di Ettore, mentre al concorso del 1771 vinse, in competizione con Goya, il primo premio, con una tela raffigurante il genio della guerra che conduce Annibale in Italia (Parma, Galleria Nazionale). Nel 1772 vinse il pensionato quadriennale a Roma, dove frequentò le accademie di S. Luca e di Francia. Dopo un breve soggiorno a Venezia, ritornò a Voghera nel 1776.
Qui dipinse (1777-78) per la chiesa di S. Giuseppe Sposo tre tele (ora nella rettoria della collegiata di S. Lorenzo: Lo sposalizio della Vergine, la Fuga in Egitto e la Morte di S. Giuseppe, mentre per la chiesa di S. Rocco dipinse una S.Anna. Nel refettorio del monastero di S. Caterina affrescò (1778) una Ultima Cena (strappata nel 1936, per la demolizione della chiesa, è ora sulla parete del coro della chiesa santuario di S. Rita in Pompio, Voghera).
Negli stessi anni affrescò nel refettorio della chiesa di S. Agata a Voghera una Cena di Emmaus (oggi nell’ufficio della direzione della Bibl. Civica Ricottiana di Voghera); una replica con qualche variante si trova nel coro dell’altar maggiore nella collegiata di S. Lorenzo, sempre a Voghera.
Nel 1780 fu per qualche tempo a Rivalta Trebbia (Piacenza), dove eseguì affreschi e dipinti per i marchesi Landi.
Tra il 1780 e il 1787 fu saltuariamente presente a Milano, dove aveva studio nel Collegio Elvetico (oggi Archivio di Stato), entrò in contatto con il mondo intellettuale e dipinse molti quadri e ritratti per famiglie milanesi. Nel dicembre 1786 andò a Torino per eseguire il ritratto di Vittorio Amedeo III per la città di Ginevra; l’anno successivo fu nominato pittore del re e gli venne accordata una pensione (che gli fu successivamente confermata da Napoleone).
Sempre per il re di Sardegna, nel 1787 cominciò a dipingere Diogene nella botte visitato da Alessandro, che però non era ancora terminato nel 1796 e non entrò mai nella collezione sabauda. Secondo lo Scaramuzza “poco dopo il 1790 dipinse per il Duomo di Vercelli, l’Assunzione.
Nel 1802 dipinse la Riconoscenza (Bologna, Accademia di Belle Arti), ma per una sopraggiunta malattia non riuscì a mandare il quadro al concorso bandito dalla Repubblica italiana per onorare Napoleone Bonaparte.
L’Addolorata (1805) è conservata nella chiesa di S. Sebastiano a Voghera, mentre nella chiesa parrocchiale di Rivanazzano vi sono la Morte del giusto (1809) e S. Germano e s. Genoveffa (1812) e, nella Quadreria dell’Ospedale Maggiore di Milano, i ritratti di F. Aguggiari (1806) e di C. Arconati Visconti (1816).Il Borroni morì a Voghera il 25 agosto 1819.
Sono ricordate numerosissime opere del Borroni di soggetto mitologico e religioso oltre a ritratti e affreschi; le opere esistenti nello studio passarono per legato testamentario del 20 novembre 1816, al pittore Gaetano Orlandi, suo allievo. Si ricorda anche la bella Natività nell’abbazia di S. Alberto a Butrio e, a Voghera, il Cristo morente già nel cimitero urbano e ora nella chiesa del Crocifisso, un l’Autoritratto e la Madonna delle ciliegie di proprietà privata.
Giuseppe Baldrighi
Il pittore nacque a Stradella nel 1723 e morì a Parma nel 1803. Studiò a Firenze con V. Menni e poi a Parigi, con F. Boucher. Pittore ufficiale della corte di Parma, fu abile ritrattista e la sua opera più famosa è La famiglia di don Filippo di Borbone (1758-59 circa), nella Galleria nazionale di Parma.
La famiglia Borbone
Il salotto, verosimilmente nella Reggia di Colorno, è arredato con mobili giunti dalla Francia e loro sono tutti lì, la famiglia di Don Filippo di Borbone, immobili, nel ruolo che la storia ha loro assegnato. Sono gli eredi di un ducato che fu degli antenati, i Farnese; sono giunti a Parma nel 1749 e hanno saputo in pochi anni dar vita ad una piccola, grande corte dove si parla francese, si governa alla francese, si vive immersi nella cultura illuminista e anche i pittori, come Baldrighi, si sono formati a Parigi.
Un disegno inviatogli dal suo maestro Boucher, conservato nel Museo Lombardi, potrebbe essere un suggerimento per questa impegnativa composizione, ma Baldrighi, di cui leggiamo la firma nel pavimento, scelse una soluzione personale, una parata di figure le cui azioni appaiono congelate, mentre l’attenzione dell’artista si concentra sulla fedeltà iconografica e sulla descrizione puntuale e nitida di ogni oggetto, posto lì per raccontare la vita quotidiana di una famiglia ducale.A fianco di don Filippo, l’affabile duca, intenta a lavorare a chiacchierino c’è la duchessa Luisa Elisabetta, figlia di Luigi XV. In piedi, mostrando un proprio disegno, la bella figlia Isabella (che sposerà nel 1760 l’arciduca d’Austria Giuseppe), mentre i due piccoli bambini sono l’erede don Ferdinando, prossimo duca, e Maria Luisa, futura regina di Spagna, colei che Goya ritrarrà più volte con sottile ironia. Luisa Elisabetta non brillava per la sua bellezza, ma era la figlia prediletta di Luigi XV di Francia, l’unica tra le sorelle ad essersi sposata e riceverà da parte del padre considerevoli finanziamenti per arricchire la corte ducale di arredi, dipinti, tessuti appositamente prodotti in Francia per le regge di Parma, Colorno e Sala. Morirà di vaiolo a Parigi nel 1757. L’elegante e matura signora vista di profilo è invece Madama Caterina de Gonzales, la governante spagnola, presenza discreta ma autorevole, che sovrintende e sorveglia la vita della famiglia ducale. Baldrighi dà prova di una strabiliante sensibilità nel descrivere con freschezza di pennellate la preziosa mantiglia. Lo sguardo scrutatore, illuminato e colto di Baldrighi ha reso questo assieme di famiglia in un interno come se le figure principesche facessero parte di una natura morta e sono descritte allo stesso titolo del pappagallo o del levriero, anzi il movimento delle carte dell’album di musica in primo piano, anima e pone nella giusta prospettiva la scena.
Biografia di Giuseppe Baldrighi tratta dall’intervento della Prof.ssa Alda Guarnaschelli nel corso del citato convegno di stradella del 1984:
I primi trent’anni di vita del Pittore restano incerte ed ancora da indagare a fondora fra le carte d’archivio. Giuseppe Baldrighi nacque a Stradella il 12 agosto 1722 la data è certa e frutto delle ricerche di Don Beniamino Carlone. arciprete di Stradella. Fu registrato col nome di Ferrante Gaspare Giuseppe.
Si trasferì con la famiglia a Napoli in tenera età nel 1929, infatti. non resta più traccia di loro nelle carte di Stradella.Si suppone che la famiglia fosse al seguito di un gruppo di persone addette a lavori agricoli che di anno in anno si trasferivano dove vi era il lavoro.A Napoli Giuseppe giunse, attorno al ’30, trovando lavoro a bottega presso qualche pittore dei moltissimi che operava in quel tempo.
Non ci restano opere risalenti prima degli anni ’50. Si trasferì poi in Toscana e l’attività non documentabile del Baldrighi prosegue a Bologna, città in cui anche il Meucci era stato in gioventù, come allievo del Del Sole, e la cui Clementina Accademia lo accoglie fra i suoi soci onorari nel 1750 (Fornari, 1979). Qui egli, al dire della figlia, si sarebbe distinto nell’arte della miniatura, in cui avrebbe introdotto novità tali da segnalarlo al Duca di Parma ed al suo segretario, Du Tillot.
Questi, infatti, non esita ad inviare a sue spese, il giovane pittore a Parigi, a completarvi gli studi.
Quì per quattro anni, dal ’52 al ’56, Baldrighi soggiornerà, frequentando per l’atelier del famoso Boucher. Ai primi anni parigini dobbiamo, infatti, far risalire il ritratto di Jacopo Sanvitale in costume da Arcade, di Fontanellato, come ha dimostrato la Briganti che mostra puntuali riferimenti ai ritrattisti francesi più in voga, tra cui Desportes e Oudry, come ha ben rilevato Lucia Fornari.
Le opere eseguite in Francia dovettero essere parecchie, come si ricava daalcune lettere autografe del Baldrighi inviate da Parigi e conservate all’Archivio di Stato di Parma, segnalate dalla doti. Anna Mavilla. Le lettere sono senza destinatario, ma, dai riferimenti e dal tono deferente dei saluti, non sembrerebbe improprio riferirle al Du Tilloi, allora non ancora primo ministro di don Filippo.
A Parigi Baldrighi, “bel giovane e discreto“, come lo definisce Bonnet, l’accorto banchiere della corte parmense, frequenta l’élite intellettuale, da Cochin, a Caylus, a Petitot – sarà sua l’indicazione che farà di quest’ultimo l’architetto di corte a Parma – riceve commissioni private, farà il ritratto, perduto, della stessa M.me Bonnet, ed esegue lavori di carattere ufficiale.
Fu maestro nell’uso del pastello, documentato anche dal Bertoluzzi. con la curiosa giustificazione che oltre a servire a fissare l’attimo fuggente del modello. non offendeva le “narici ducali reali imperiali“,
Tornato a Parma nel ’56 è subito nominato pittore di corte, ruolo a cui si aggiunge. dal ’60, la nomina a professore accademico e l’incarico di dar lezioni di disegno ad Isabella, la maggiore delle figlie dei Duchi.
Nel ’71. Baldrighi è protagonista della vita culturale parmense. riceve incarichi e riconoscimenti tali da suscitargli contro non poche invidie. Nel prezioso volume “I fasti. i lumi, le grazie“. Eugenio Riccomini analizza, con spirito, il polo culturale laico formatosi attorno al ministro Du Tillot e la funzione svoltavi dal nostro pittore.
Baldrighi possiede un gusto particolare per le stoffe e per gli oggetti, non sono più, però, indicati come lo erano stati almeno sino all’epoca Luigi XIV. solamente in funzione della distinzione e dell’attribuzione del rango sociale. In questi ritratti la moglie di Baldrighi è più elegante della Duchessa Louise Elisabeth.Nella sala Colorno, in cui viene ritratta la famiglia Borbone, par di identificare nella tappezzeria, nell’orologio, nella poltrona sulla destra, alcune delle suppelettili rintracciate con sicurezza dalla Briganti, nel suo bel volume. Lucia Fornari dà notizia di un altro ritratto. Autografo, don Ferdinando in veste di cacciatore e di poco più giovane, ora al Museo di La Corufia, in Spagna.
Morì, il 12 gennaio del 1803, dopo un anno di malattia durante il quale aveva dovuto vendere alla famiglia Melzi una tavola di Correggio. parte di una sua ben nutrita galleria (Ms. Bertoluzzi)`, senza aver dimenticato la natia Stradella (aveva ricevuto per grazia ducale. la cittadinanza parmense il 30 novembre 1765). È sepolto nella Chiesa della SS. Trinità, accanto ad illustri contemporanei. tra cui il poeta Frugoni.
Pellizza da Volpedo
Pellizza da Volpedo nasce a Volpedo il 28 luglio1868, è’ il cittadino più insigne di Volpedo, un grande maestro della pittura ed in particolare del divisionismo.
Giuseppe Pellizza figlio di piccoli proprietari terrieri, dediti soprattutto alla viticoltura e alla commercializzazione dei loro prodotti, i contatti commerciali li portarono a contatto con cultori d’arte fra cui i Della Beffa, e sapendo che Giuseppe amava disegnare, ottennero l’interessamento di Alberto Grubicy per l’iscrizione del giovane in un’accademia d’arte.
Dal 1880 all’83, frequenta la scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia: qui apprende i primi rudimenti del disegno. Passa poi all’accademia di Brera. Il suo percorso artistico è molto intenso e travagliato, il più grande noto quadro è “il quarto stato” diventato l’emblema delle lotte operaie e del socialismo.
Nel 1907 muore poco dopo la nascita il terzogenito Pietro, seguito dalla moglie Teresa, punto di riferimento nella vita del pittore, provato dalle perdite e incapace di vedere una prospettiva di vita e della sua arte, Pellizza decide di togliersi la vita, nel suo stesso studio a Volpedo, alle prime ore del mattino del 14 giugno 1907.
Carlo Gallini
Carlo Pietro Giuseppe Gallini nacque il 2 settembre 1814. I suoi interessi giovanili si rivolsero all’arte e all’agricoltura. Studiò a Pavia dove si laureò nel 1836 presso la Facoltà di Scienze Fisiche e Naturali, in seguito si recò a Genova per sottoporsi ad altri esami necessari per l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere civile ed idraulico e di perito agrario.
E’ nel campo agrario che emersero, in modo rilevante, le capacità e l’impegno pubblico di Carlo Gallini, che si prodigò per un miglioramento dell’agricoltura nel vogherese.Destinò la maggior parte del suo patrimonio alla creazione del “Pio Istituto Agrario Vogherese” con il duplice scopo del progresso dell’istruzione agraria e come aiuto ai ragazzi poveri e orfani. Carlo Pietro Giuseppe Gallini morì a Voghera nel 1888.
Mario Maserati
Mario Maserati è nato a Voghera il 25 settembre 1890. Il padre, Rodolfo, di origine piacentina, faceva il ferroviere e si era stabilito in una casa in località “La Rondinella”: dall’unione con Teresa Carolina Losi erano nati sette figli, di cui sei sopravvissuti: Carlo, Bindo, Ernesto, Alfieri, Mario ed Ettore.
Mario incominciò a disegnare da solo seguendo il suo istinto, poi ebbe degli amici che, come lui, avevano questa passione: il pittore Piaggi e lo scultore Minghetti, con loro parlava di Pellizza da Volpedo, e di Segantini, di Cézanne e dei pittori francesi.
A sedici anni si iscrisse all’Accademia di Brera dove ebbe maestri Mentessi e Cesare Tallone. già insegnanti di Pellizza, imparò il chiaroscuro ed il disegno copiando le statue, quanto pitturando vuole che modello e copia siano uno allato all’altro e a eguale distanza di chi copia facilitando i confronti”.e approfondendo le tecniche pittoriche.
Scoppiò la guerra e fu inviato al fronte. Combatté sul Carso e sul Pasubio, sul Sabotino e a Plava, dove rimase ferito.
Alla fine della guerra riprese i corsi a Brera che terminò nel 1919.
Si trasferì a Bologna con la famiglia dove il fratello Alfieri, aveva iniziato la costruzione di autovetture da competizione, e potè dedicarsi con tranquillità alla pittura: aveva lo studio in un ripostiglio dell’officina di Pontevecchio e, ispirandosi alla statua del Nettuno di Piazza Maggiore a Bologna, ideò il famoso Tridente, marchio di fabbrica ancor oggi usato dalla casa Maserati.
A Voghera apri uno studio in Via Angelini, e conobbe Pia Berruti con cui si sposò e andò ad abitare a Milano, mentre insegnava arte applicata, per otto anni, nella Scuola Professionale “Vittorio Emanuele” di Voghera.
Esordi nel 1922, con il ritratto di sua madre, nella Mostra “Francesco Francia” a Bologna e presentò lo stesso ritratto, insieme a quello di una bambina, nella mostra di Voghera del ’23.
Partecipò anche alla mostra del ’29 sempre aVohera, già aveva esposto l'”Impagliatrice di fiaschi” alla Quadriennale di Torino nel ’23, “Le cuginette” alla Quadriennale di Torino del ’27 seguirono poi tantissime mostre e raassegne che lo ebbero trai protagonistiA quei tempi le mostre avevano il compito di promuovere lo sviluppo delle arti e di superare le barriere tra arte e pubblico: la Prima Mostra Regionale d’Arte Lombarda al Palazzo della Permanente, a cui partecipò Maserati, raccoglieva 292 opere di 180 artisti, passati attraverso una triplice selezione, che intendevano dimostrare l’impegno e la tradizione lombarda nell’arte. A Milano Maserati conduceva vita ritirata, aveva lo studio in Via Sacchini, che già era stato di Alberto Salietti, venne bombardato nel ’45 con la distruzione di parecchie tele.Esegui opere pubbliche di un certo impegno come gli affreschi di San Gregorio Magno e dell’Addolorata, quadri alti 4 metri, sull’altare della chiesa dell’Istituto anatomo – patologico del Nuovo Ospedale Maggiore di Milano. Realizzò nel 1938 per la quadreria dell’Ospedale Maggiore, il ritratto del benefattore Ferdinando Porini, funzionario irreprensibile, cacciatore e cinofilo appassionato.Tra il 1934 e il 1935 affrescò la Chiesa Parrocchiale di Medassino, con motivi geometrici e con festoni e ghirlande, le quattro lunette laterali della navata principale gli Evangelisti, e le due lunette alle pareti del presbiterio A Voghera aveva amici e collezionisti che ne apprezzavano l’onestà e la serietà professionale, qui ha lasciato opere significative in edifici pubblici affreschi eseguiti nel 1950, con l’Annunciazione, Santa Caterina, San Nicola, simboli degli Evangelisti, nella Chiesa delle Suore Agostiniane, tele con la Madonna di Pompei in Duomo, San Giuseppe nella Parrocchia di Pombio, Ragazzo con frutta in Comune, Ritratto della moglie nella Biblioteca Civica, ritratti di benefattori al Centro Sociale e in abitazioni private.Voghera gli era rimasta nel cuore, anche dopo che scelse Novi Ligure come sua dimora (1943). Viveva isolato in compagnia della moglie, sconvolti dalla morte del figlio Rodolfo, a diciannove anni. Continuava a dipingere, eseguiva anche affreschi e mosaici, realizzava vetrate con soggetti religiosi per chiese e altri edifici a Novi Ligure, Pozzolo Formigaro, Monterotondo.Il Comune di Voghera nel ’69 gli dedicò una mostra inaugurata da Sandro Pertini, allora Presidente della Camera dei Deputati.
Ricordo le sue parole: “La pittura è stata tutta la mia vita”.
Quasi cieco, morì la sera del 18 maggio 1981 a Novi Ligure, stava disegnando per la moglie un frutto e scrisse, con mano tremante: “Cara Pia, ti voglio tanto bene e ti saluto”.
Ambrogio Casati
Ambrogio Casati nasce a Voghera il 27 dicembre 1897. Dal padre, dilettante pittore e animatore dell’ambiente artistico cittadino di fine Ottocento, riceve la passione per l’arte. Conseguito il diploma di maturità classica, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Dopo gli studi a Brera e l’adesione al futurismo, appaiono fondamentali per la formazione della personalità artistica di Casati gli anni trascorsi a Parigi, dal 1927 al 1932 dove incontra cubismo e surrealismo. L’attività di scultore e pittore (oltre che di illustratore) continua in Libia dal 1937 al 1942, con opere di notevole valore documentario e artistico che prosegue a Voghera nel dopoguerra.
Ambrogio Casati aderisce al futurismo. Fondamentali per la sua formazione artistica gli anni trascorsi a Parigi, dal 1927 al 1932 dove conosce cubismo e surrealismo. L’attività di scultore, pittore e illustratore continua in Libia dal 1937 al 1942, con opere di notevole valore e prosegue a Voghera nel dopoguerra.
La lunga parentesi libica: dove era stato inviato nel 1937 col grado di capitano e dove rimase fino al 1942.
Dopo una lunga parentesi al fronte (1917-1920) ottiene il diploma del corso di scultura e nel 1922, per qualche anno insegna al liceo classico di Voghera. Dal 1928 al 1932 soggiorna a Parigi ed entra in contatto col suo mondo artistico. Con la “capitale della modernità” intratterrà rapporti per tutta la vita.
Casati aveva partecipato al primo congresso futurista di Milano con una relazione sul teatro totalitario, era stato ricordato in una mostra vogherese attraverso tre sue opere, atte a testimoniare il suo indubbio interesse verso le successive evoluzioni del futurismo, ovvero verso il cubismo e il surrealismo.
Negli anni 1928-1932 il giovane scultore vogherese si stabilisce a Parigi, “la Capitale della Modernità”, centro del rinnovamento delle arti.
Frequenta lo studio dello scultore Egidio Pozzi, amico del padre, e quello dello scultore Paul Gasq, direttore della sezione di scultura dell’Académie des Beaux Arts di Parigi.
Casati frequenta la “Libera Scuola del Nudo” ed esegue più di duecento disegni..
Nel ’28 incontra Picasso alla galleria “Renaissance” e dalla conoscenza nascono nudi cubisti. Nel ’31 ritrova Filippo Tommaso Marinetti, che ha raffigurato in originale composizione nel manifesto per la serata futurista del 1927 al Teatro Sociale di Voghera, e in un bistrot conosce Pirandello di cui esegue un rapido schizzo.
A Parigi lavora alla modellazione di grandi sculture da fondere in bronzo o da tradurre in marmo è affascinato dalle sculture di Rodin, dal modellato mosso in superficie e sensibile alla luce, dal gusto per il “non finito” di radice michelangiolesca. Ma non resta insensibile alle suggestioni di Bourdelle, di Maillol e di Despiau, che gli permetteranno di realizzare poi anche opere più espressionistiche, di scavo nella materia, e altre dal modellato fluido in cui la luce scorre senza incontrare resistenze sui volumi sinuosi.
Particolarmente significative sono due opere del 1931: l’Autoritratto (scomposizione cubista con elementi della metafisica o surreali) e Il ballo delle seggiole (che rivela, oltre all’assimilazione del linguaggio dinamico di radice futurista, la conoscenza approfondita del nudo e una sensibilità di tipo surreale espressa con colore fauve).
Gli anni Venti e Trenta sono per Parigi les années folles. Gli artisti – numerosi e di nazionalità diverse nomi famosi, nomi sconosciuti o dimenticati: Tozzi, Paresce, De Pisis, Severini, Campigli, De Chirico, Savinio).
La vita artistica regna nel mitico café de la Rotonde frequentato anche dal vecchio scultore Bourdelle e soprattutto il café du Dôme, poi la Coupole e il Sèlect.
Torna poi a Voghera, a Parigi ritornerà poi sovente.
Le sue opere a Voghera sono molteplici, il monumento a Carlo Gallini di fronte alla chiesa di San Rocco dove esegue anche gli affreschi nel catino che sovrasta l’altare, insegna comunque nelle scuole superiori sempre a Voghera. Realizza una splendida opera in gesso dorato posto sul bancone di un prestigioso bar in fondo alla Via Emilia che purtroppo è sparito insieme al bar.
Altre opere di Casati sono: le quattro muse di palazzo Baldi di via Papa Giovanni, il bassorilievo alla Casa del pane, un mosaico della Beata vergine Maria sulla facciata di palazzo Torti di via Emilia, la Beata Vergine Assunta sulla facciata della chiesa del Carmine,il monumento ai caduti di Oriolo,il busto di Alessandro Maragliano, il busto di Davide Quaroni fondatore della scuola professionale Monumento ai caduti.
Morirà a Pavia la notte del 19 luglio 1977. Oggi la sua memoria è mantenuta viva dal figlio Ferdinando apprezzato architetto.
Alfredo Piaggi
Alfredo Piaggi è nato a Voghera nel 1883 fu allievo del Céhitti nel cui studio capì ed approfondì la tecnica pitorica.
Frequentò poi l’Accademia di Belle Arti di Brera e seguì i corsi’ di Cesare Tallone, maestro di figura, alla cui scuola “irrobustì – scrive Ambrogio Casini – le sue doti di costruttivo disegno e di nobile tonalità e calda atmosfera.
Si veniva così formando, il ritrattista di talento ma anche il pittore di paesaggi e di soggetti campestri, che rielaborava in maniera persomilissima a brevi lineette e a colori complementari, “un divisionismo ‘tranquillo’, che dà i risultati caratteristici di questo sistema” senza esasperarne la tecnica, più vicina a quella ‘di Pellizza che non a quelle di Previati e Segantini.
Era buono, semplice, onesto, anche timido. Viveva facendo ritratti e dando lezioni nel suo studio in Corso XXVII Marzo prendeva cinque lire dalle nove a mezzogiorno.
Nel 1925 lasciò Voghera ed emigrò a Lima in Perù, chiamato dal fratello. “Sono sempre stato preoccupato, scriveva nel 1930 a Ferdinando Casari, per la difficoltà di imporre la mia arte in questo paese, doVe di artisti ne sono venuti tanti e quasi tutti gli sfruttatori turlupinano continuamente, tanto da render questa gente molto diffidente”. Ma ormai le cose erano cambiate e l’ambiente che frequentava era “autorevole e colto”.
Nel ’28 aveva già eseguito il ritratto dei com. Sanguinetti ex presidente del consiglio d’amministrazione del Banco Italiano e il grande ritratto del PieSidenie della Repubblica peruviana, che Ambrogio Casati menzionava sul “Giornale di Voghera del 12 gennaio 1928 “una tavolozza sobria e calda, il disegno sicuro e composto”. Poi altri presidenti e alte personalità posarono davanti al pittore vogherese, che nella città natale pure aveva lasciato opere di splendida fattura.
Queste opere, una trentina, furono in gran parte raccolte dagli amici nel 1974, due anni prima della morte, in una mostra al Casino Sociale, a “testimonianza del riconoscimento e dell’ammirato ricordo”. E Casati, presentando il catalogo, faceva notare che “la poetica di Piaggi risiedeva nel paesaggio, in un paesaggio nostrano in un ambiente in cui coglieva sottili trame, dalle nevi merlate della campagna bassa, del nero “Lagozzo” serpeggiante nei prati tra salici e prati, all’esplosione dei Verdi primaverili ed ai tramonti infuocati d’autunno”.
E Piaggi per lettera lo ringraziava e ringraziava gli amici: “Il mio cuore si gonfia di emozione, il mio animo nella mia abituale modestia si commuove e gli occhi mi lagrimano … io sono sempre a Voghera, so che è molto cambiata, ma il mio mondo lo vedo sempre uguale. Mi trovo con persone care, buonissimi e cari amici che purtroppo hanno lasciato questo mondo. In casa non passa giorno che non si parli di Voghera”.
Giansisto Gasparini
Giansisto Gasparini è nato a Casteggio, il 5 novembre 1924.Ha studiato al Liceo Artistico di Milano dove ha occupato la cattedra di figura disegnata e all’Accademia di Brera alla scuola di Aldo Carpi per la pittura nonché quella di Benvenuto Disertori per l’incisione.Ha iniziato ad esporre a Milano alla Galleria Borgonuovo 18 diretta da Giovanni Fumagallie nel 1946 e ha aperto la prima sua mostra personale a Milao nel 1953, alla Galleria Bergamini, presentato da Guido Ballo.Ha esposto, su invito, alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma, alla Triennale di Milano.
Pietro Bisio nella sua autobiografia cita Giansisto Gasparini come suo primo insegnante di disegno.
Molto successo ha riscosso nell’ottobre del 1985 una mostra alla galleria “La bottega dell’arte” di Voghera.
Alberto Nobile
Alberto Nobile è nato a Voghera nel 1923, muore a Genova nel 1966 a soli 43 anni.
E’ fratello del noto fotografo Claudi Nobile che aveva uno studio a Voghera e si è reso benemerito, oltre che la sua arte e i documenti che ha lasciato, per aver salvato l’archivio Cicala un altro celebre fotografo vogherese.
Conseguito il diploma di maturità, si iscrive ai corsi di Pittura dell’Accademia di Brera. All’inizio degli anni ’80 entra in contatto con gli artisti di «Corrente». Terminati gli studi accademici riceve l’incarico di docente prima al Liceo Artistico di Genova, poi all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Negli anni della guerra, a Roma, si avvicina all’esperienza di Mafai e Scipione nell’ambito della Scuola Romana. Esaurito questo filone di ricerca, la sua produzione artistica passa a una fase in cui si riscontrano stilemi picassiani adottati per affrontare temi di impegno sociale.
Con l’inizio degli anni ’50 si inserisce e partecipa alle iniziative del gruppo realista della Galleria 15 Borgonuovo a Milano, per poi approdare alla nuova figurazione del realismo esistenziale. Nella seconda metà del decennio è attivo a Brescia, prima di trasferirsi definitivamente a Genova. Partecipa a due edizioni della Biennale di Venezia e alle Quadriennali di Roma del 1948 e del 1956.
Nel 1962 tiene una mostra personale alla Galleria Bergamini di Milano.
Giovanni Novaresio
Giovanni Novaresio è nato a Napoli il 31 luglio 1919 e muore a Godiasco nel, 1997.
Dopo vari trasferimenti con la famiglia si stabilisce con i genitori a Genova, dopo gli studi ginnasiali frequenta l’Accademia Ligustica esponendo poi, nel 1937, alla Società Promotrice di Belle Arti di questa città.
Fa la guerra sul fronte francese, torna a Genova per la morte della madre e dopo l’8 settembre è nella Resistenza con Giacomo Buranello.Nel 1945 riprende l’attività artistica, espone alla Euro Romano con Aligi Sassu, Domenico Cantatore, Renato Guttuso, Mario Mafai, Renato Birolli ed Emilio Vedova. Nel 1944 aveva ospitato Fabbri nel suo studio di via Montaldo e nel 1945 aveva avviato con alcuni amici, fra cui Ivo Chiesa, U. Silva, G. Maria Guglielmino, S. Cherchi e F. Della Corte, l’associazione culturale L’Isola.
Ha viaggiato molto e ha soggiornato per parecchio tempo in Somalia, dove ha lavorato eseguendo lavori pubblici di grande prestigio. Ha dipinto a Genova, in vari paesi d’Italia e all’estero, per molte committenze.Fra le tante opere, si distinguono l’affresco absidale per la chiesa di Santa Teresa del Bambino Gesù ad Albaro, di grande impegno, data anche la grande superficie di 150 mq, ha dipinto anche la pala d’altare per la chiesa di San Colombano ad Ottone.Numerose mostre si sono tenute a Genova, a Spoleto (Festival dei Due Mondi), a Montesegale (Museo d’arte contemporanea, 1988) e Voghera (Comune, 1988). Tra le personali si ricordano inoltre: Galleria Il Punto, (Genova, 1974); Galleria San Gerolamo (Millesimo, 1974), Galleria Palmieri (Milano, 1978), lt Godiasco e Salice Terme (1983), Galleria San Benigno (Genova, 1993).Nel 1995 ha partecipato ad un’interessante collettiva a Voghera nella sede della ex Banca d’Italia. Nel 1997 è stata allestita una mostra postuma dei suoi ritratti a Fortunago.Si trasferisce in oltre Po prima a Rivanazzano poi a Godiasco dove abita ed allestisce lo studio nel mulino abbandonato lungo lo Staffora.
Dal 2007 sono esposte all’interno della sede espositiva del Comune di Godiasco 52 opere facenti parte del lascito testamentario voluto dall’artista che è presente in permanenza anche presso la galleria Border Line di Voghera.
Dino Grassi
Dino Grassi nasce a Voghera nel maggio del 1924, ultimo di quattro fratelli. Il padre di Dino, Antonio, è un decoratore rinomato, un artigiano che ha imparato il mestiere andando a bottega all’età di otto anni e studiando l’ornato nella scuola serale promossa dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso. Antonio Grassi è di idee progressiste, socialiste, partecipa alla prima guerra mondiale e nelle elezioni del 24 ottobre del 1920 fu eletto e nominato assessore nella amministrazione socialista di Voghera che a fine ottobre decade per l’avvento del fascismo. Con Giannetto Fieschi, Borella, Emilio Scanavino e Plinio Mesciulam è il promotore dell’attività d’ avanguardia genovese del dopoguerra, molte sue opere hanno fatto scuola per contenuti innovativi.
Dino nell’atelier paterno situato sotto l’abitazione, all’incrocio tra via Volturno e via Crocefisso, un locale stipato di attrezzi e di colori, seguiva con passione il padre mentre disegnava i modelli preparava i cartoni per le decorazioni dei soffitti e delle pareti.
La prima opera di Dino fu un disegno di Garibaldi a cavallo eseguita in prima elementare, suscitando l’ammirazione della scolaresca e degli insegnanti.
Nelle pause della scuola lavora nell’azienda familiare, frequenta poi il corso serale di disegno per decoratori presso la Scuola Professionale di via Ricotti e lo scultore Minghetti, esaminando le prove grafiche del giovane, si convince di aver individuato un sicuro talento e interviene presso l’amico Antonio perché il figlio si presenti all’esame di ammissione al Liceo Artistico di Brera.
Al Liceo Artistico milanese conosce Giansisto Gasparini e Augusto Garau, compagni di corso, e insieme a Dario Fo costituiranno l’élite della classe: Ugo Vittore Bartolini, insegnante di figura disegnata e Guido Ballo, docente di storia dell’arte, capiscono la vocazione dei giovani e si instaura un dialogo con reciproci scambi e arricchimenti culturali.
Nel luglio del 1943 Dino consegue il diploma di maturità. Appena iscritto all’Accademia di Brera, è chiamato alle armi. Dapprima renitente alla leva, dopo qualche mese di tentennamenti è costretto a presentarsi a ma nel luglio del 1944 decide di disertare riuscendo a raggiungere la casa di via Volturno frequentata in quel periodo da, irriducibili antifascisti, come lo scultore Minghetti. Lucio Silvani, Angelo Ovalici, Giuseppe Lavagetti e altri.
Al 25 aprile, finita la guerra, incontra Alberto Nobile che ha appena abbandonato il rifugio dove è stato rintanato per mesi. Si torna a dipingere: si comincia con i cartelloni, i manifesti per le prime celebrazioni, gli striscioni per le sfilate, i ritratti dei capi politici.
Frequenta con Nobile il salotto Gasparini che diventa un punto di incontro coi pittori, il vero catalizzatore del gruppo era un pittore cinquantenne d’origine parmense giunto da Milano, Atanasio Soldati, ospite con la moglie, di Luisa Pagano.
Si approfondisce l’arte contemporanea, con dal cubismo, ai neopicassiani di scuola francese Gischia, Morandi, Guttuso, agli artisti di «Corrente».
Alle elezioni amministrative che si tengono a Voghera il 24 marzo del 1946, le prime del dopoguerra, il decoratore Antonio Grassi torna a Palazzo Gunela nella lista del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e viene nominato assessore nella giunta che ha come sindaco Riccardo Dagradi.
Dino Grassi partecipa alle dispute artistiche con Nobile, Gasparini e Garau, espone nel 1946 alla galleria 15 Borgonuovo, una delle prime ad uscire allo scoperto fra le rovine dei dopoguerra, era diretta dal pittore Fumagalli e punto d’incontro di artisti fra i quali Tettamanti, Brizzi, Meloni, Luigia Zanfretta e Antonietta Ramponi.
Produce senza soste cartoni e affreschi, acqueforti e xilografie su temi e soggetti della vita quotidiana, le mondine, i braccianti, gli operai delle fabbriche. Il suo impegno è così intenso e risoluto che, non a caso, sarà il meno ciarliero dei gruppo.
Viene nominato direttore del giornale Fronte del popolo, facendone, il più bel foglio apparso a Voghera, con un’impaginazione ricca di incisioni su linoleum con effetti bellissimi.
Arriva a Voghera al convento dei Padri Francescani Nazareno Fabbretti, giovane frate predicatore, scrittore elegante e pugnace. Si apre il salone «Frate Sole» con un affresco di Nobile e una mostra di pittura onorata all’inaugurazione dal poeta Salvatore Quasimodo. Padre Nazareno diventerà uno dei riferimenti della cultura vogherese.
Il 1948 diventa per Grassi un anno cruciale fa un viaggio ad Antibes, visita Pablo Picasso, il quale osserverà con interesse i disegni dell’artista vogherese e accogliendolo con un giudizio assai favorevole
Dopo una collaborazione di buon livello alla VIII Triennale di Milano, la «QT8 » dellArch. Piero Bottoni, nel dicembre del 1948, Grassi lascia l’Italia ed emigra in Argentina.
A Buenos Aires, in breve tempo, Dino riesce a farsi notare e ad assumere la direzione artistica di una casa editrice d’avanguardia, la Editorial Losada, incarico lasciato vacante dal pittore Attilio Rossi che torna in Italia.
Quasi contemporaneamente è assunto dalla «Municipalidad» di Buenos Aires come tecnico grafico per collaborare allo studio e alla progettazione del piano regolatore della città. Riscuote molto successo nella mostra personale nel 1952 alla Galleria «Plastica», cui seguiranno molte altre mostre sempre con lusinghiero successo.
La morte del padre e l’aggravarsi della situazione politica ed economica sempre più confusa e gravida di pericoli involutivi del peronismo ormai allo stremo, lo inducono al ritorno in Italia che avviene nei 1953, in tempo per partecipare ad un concorso assai prestigioso che assegna all’opera di Grassi il premio Bianca Borletti.
Accerta l’incarico di insegnante di disegno nelle scuole medie statali, un’attività che gli darà l’opportunità di liberare la forte inclinazione pedagogica che è la medesima innata predisposizione al lavoro artigianale ben fatto, identificabile alla base della sua considerevole attività di designer.
Nuovi incontri con Picasso sulla Costa Azzurra nell’estate del 1954 e nuove lusinghiere attestazioni di stima e apprezzamento, cui faranno seguito esposizioni di disegni al «Muséc Grimaldi», alla Galleria di Cannes e alla «Galerie des Arts» di Nizza, sempre con brillante successo e giudizi critici.
Intanto riprende a lavorare per le case editrici, la Vallecchi di Firenze e le edizioni dell’Avanti di Milano.
Nel 1955 nasce il figlio Paolo. Nel 1962 tiene a Voghera la prima grande personale dopo il rientro dall’Argentina. Una mostra, presentata molto degnamente dal critico Raffaele De Grada. Lo stesso anno Grassi è invitato a partecipare alla XV edizione del Premio Suzzara e da quel momento le personali e le partecipazioni a collettive si succedono in misura sempre più frequente in molte città italiane e all’estero, in Francia, Svizzera e Germania Occidentale.
Inizierà nel 1965 una collaborazione sistematica con il litografo Miles Fiori e la sperimentazione incessante sulla pietra litografica e sulla lastra di zinco.
Nella bottega di Fiori verranno concepite le serie di cartelle su argomenti o personaggi della letteratura, della politica o del costume, realizzate insieme ai pittori Gasparini e Mainoli, diventano un appuntamento annuale fisso con la città nel periodo natalizio, con il patrocinio del Consiglio Culturale del Comune di Voghera.
Nel 1979 Grassi si ritira dall’insegnamento pubblico, lavora con immutato impegno nella pittura e comincia a compiere esperienze nel campo della ceramica presso il laboratorio di Francesca Scopelli a Salice Terme, dove tiene anche dei corsi di disegno per appassionati, nell’atelier si producono sculture e oggetti d’arte di concezione assai originale e di interessante fattura.
Nella chiesa di Santa Maria delle Grazie detta dei Frati si conserva un bellissimo Presepe che ha costruito Dino Grassi con grande abilità artigianale, in forma di quinte teatrali su legno e dipinte con grande verismo, illuminate da una luce interna di un faretto molto suggestivo.
Pietro Bisio da Gerola
Pietro Bisio, è nato il 28 marzo 1932 a Gerola di Casei Gerola dove vive.
I campi, il fiume Po e i suoi affluenti accompagnano da sempre la vita del pittore che nella realtà contadina ci è nato, ci è vissuto e ci vive ancora.
Nello studio di Giansisto Gasparini, a Voghera, viene a contatto con la pittura sociale, e ha scambi di esperienze con i pittori Alberto Nobile e Augusto Garau.
Tra il 1954 e il 1958 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove studia a contatto con Aldo Carpi, il cui corso di Pittura segnerà significativamente il suo percorso artistico, nel ’58 segue anche le lezioni di Domenico Cantatore.
Nell’Aula Carpi si sviluppò un movimento chiamato Realismo Critico Esistenziale. Quella di Pietro Bisio è una lunga ricerca che, attraverso tecniche diverse, non si esaurisce ma continua.Negli ultimi anni, insieme ad altri artisti della zona, ha dato vita al Gruppo 7: un modo per incontrarsi e scontrarsi sui temi fondamentali della vita, unendo diverse esperienze artistiche e di vita. Pietro Bisio si fa testimone di una cul contadina raccogliendo l’eredità del maestro Pellizza da Volpedo e attraverso molteplici linguaggi fissa nel presente lo spirito del passato. Nel marzo 1957 si rivela al premio Diomira e riceve dalla giuria, presieduta da Guido Ballo, la medaglia d’oro del Senato della Repubblica.L’opera premiata viene destinata alla Raccolta dei disegni del Castello Sforzesco ed è pubblicata da Franco Russoli su “Le vie d’Italia”. Nello stesso anno, alla Galleria Spotorno, presenta la sua prima personale di disegni, introdotta da Aldo Carpi e positivamente recensita da Marco Valsecchi sul “Giorno” e da Raffaele De Grada alla RAI.Seguono numerose esposizioni personali e collettive, con giovani artisti per lo più provenienti dall’Aula Carpi: a Roma, nel 1960, a Cremona, Palazzo dell’Arte, nel 1962, a Milano, Palazzo Reale, nel 1964, a Pavia, nel 1965, e molte altre, accompagnate sempre da premi e riconoscimenti.Il pittore Bisio è interprete per eccellenza, dopo Pellizza da Volpedo, della “cultura contadina” nell’Oltrepò Pavese, con linguaggio sempre moderno. Effettua viaggi di studio a Parigi, Vienna, Amsterdam, Stoccolma, Copenaghen, Helsinki, Oslo e la conosce Permeke, Munch, Kokoschka, Nolde, oltre naturalmente a Picasso e all’espressionismo astratto americano, e, più recentemente, Marcel Duchamp.Nel 1984 rende omaggio, insieme a Gigi Valsecchi e Giulio Scapaticci, al maestro Carpi, che seppe donare “entusiasmo e amore”, con una mostra alla Fondazione Corrente.Il realismo “esistenziale” definizione formulata dal critico Marco Valsecchi per il gruppo dell’Aula Carpi: Banchieri, Ceretti, Guerreschi, Romagnoni, Vaglieri, Martinelli e Ferroni, estesa poi ad altri pittori “milanesi” operanti nel periodo che va dal 1955 al 1965. con una visione di immagini “avare di colore cariche di dolore”, con la rappresentazione di figure “disseccate e spettrali”, sono le opere di Bisio, i bianchi e neri in particolare, in certa misura ne costituiscono un’ala, o un allargamento, comunque un aspetto interessante.
Poi la grafica di Bisio dal segno personale e una pittura di inquieta e tormentosa che fa uso delle tecniche meno convenzionali, – il dripping, il polimaterismo, la parola, il colore puro, con l’accantonamento di ogni perbenismo compositivo e lo sconvolgimento dei piani di lettura – rivelano nelle esposizioni in Italia: a Vicenza, Ferrara, Acqui Terme, Genova, ecc., e all’estero: Manosque, New York, Heusden-Zolder, Parigi, Bruxelles, ecc.), un interesse crescente per problematiche ecologiche e forniscono una testimonianza delle distruzioni operate nelle campagne come in città.
Silverio Riva
Silverio Riva è nato a Voghera nel 1940 e quivi è morto prematuramente nel 1998) è stato un valente scultore.Insegnava anche scenografia a Brera, aveva molto a cuore il destino del Teatro Sociale di Voghera, verso il quale aveva fatto molte ricerche con i suoi allievi di Milano, costruendo un bellissimo modello dell’apparato scenico del teatro che da innumerevoli anni attende un restauro.Dopo aver studiato scultura con Luciano Minguzzi all’Accademia di Brera di Milano si dedicò attivamente alla creazione artistica.Insignito del primo premio per la scultura alla Mostra della Resistenza di Piacenza nel 1965, è segnalato dal critico Alberico Sala come miglior artista giovane nel Catalogo Nazionale Bolaffi del 1979.Lla carriera di Riva lo portò ad esporre in gallerie ed istituzioni italiane (Milano, Padova, Albissola, Torino, Savona, Parma) ed estere (Amsterdam, Basilea, Stoccolma, Tel Aviv, Atene).La parte principale della sua attività si svolse nel territorio pavese, dove realizzò monumenti pubblici come quelli di Brallo di Pregola e Pinarolo Po, il Sacrario Monumento ai Caduti di Voghera, nonché numerosi monumenti funebri privati.Ha esposto in mostre collettive come “Lombardia vent’anni dopo” a cura di Rossana Bossaglia, presso il Castello Visconteo di Pavia (1981), “Schieramenti del Naturalismo” a Salice Terme (1982), “Artisti e poeti” al Collegio Cairoli di Pavia (1984), “Appunti per due secoli di arti figurative” a Voghera ( 1995 ), “Dialogo fra generazioni” a Pavia (1999).
Riva era un animo inquieto, sempre con tante cose da fare e progetti da perseguire, fu curatore e ideatore di molte iniziative artistiche, svoltesi nel territorio dell’Oltrepò Pavese.
Sono degli anni ottanta le due edizioni della Biennale di Scultura: la prima, itinerante, con il titolo “Arte e ambiente” toccò nel 1980 le località di Voghera, Salice Terme, Varzi, Zavattarello, Scaldasole, Lomello, Broni, Vigevano e Gambolò; la seconda, “Scultura oggi” fu organizzata a Voghera nel 1982.
Maria Lisa Lusardi
Nata a Voghera nel dicembre del 1931 vive a Voghera dove lavora tuttora.Studia all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano sotto la supervisione del pittore Ugo Vittore Bartolini e la passione per l’arte la porta, successivamente, ad insegnare discipline artistiche in alcune scuole della zona.Sperimenta tutte le tecniche artistiche, la litografia la pittura ad olio su diversi materiali e la stampa su stoffa.
Ripercorrendo gli anni di attività ritroviamo tematiche ricorrenti. La principale è la figura della donna a cui dedica ritratti che raccontano la maternità, il suo ruolo sociale, le difficoltà che ha affrontato per affermarsi nel mondo della cultura: donne che hanno sofferto e amato, che hanno fatto la storia e che sono state dimenticate. E’ sorella del famoso poeta dialettale Spartaco maestro alle scuole vecchie della città.
Gerico
Nero Geri, in arte Gerico, nasce a Somma Lombardo nel 1946, ma vive e lavora a Voghera.Quarant’anni di prolifica ricerca il suo viaggio nel mondo dell’arte da autodidatta. Gerico non si definisce artista in senso stretto, ma pittore e artigiano.
La sua è una visione dell’arte come esperienza estetica del fare, le conferisce la matrice pratico-tecnica a cui colllega sapientemente una visione ben precisa e personale delle cose.
Nei suoi lavori compaiono macchine, schermi, barattoli accatastati simboli dell’accumulo tipico della società dei consumi, ma l’elemento più inquietante è l’uomo, rannicchiato come se fosse un bambino che ha paura di qualcosa: un uomo succube e schiacciato dalla macchina.Unisce l’antico con il moderno, nei suoi quadri compaiono ricostruzioni di soggetti ripresi da Caravaggio, Hayez, inseriti in un set cinematografico.Continua poi mettendo in posa personaggi e creando ritratti che non congelano il soggetto, ma che lo rendono l’attore protagonista di quel momento; utilizza soggetti tipici delle nature morte come frutta e verdure.
La sua è un’arte iperrealista immersa in un cyberspazio.
L’antico torchio di Miles Fiori un una locandina di una sua mostra ai Fortunago, il disegno è di Dino Grassi
Miles Fiori Litograafo
Miles Fiori nasce a Voghera nel 1919 inizia a lavorare giovanissimo nella bottega di Alessandro Macchi, maestro litografo che aveva lavorato per un certo periodo a Milano per poi approdare a Voghera. Da lui Miles Fiori apprende tutti i segreti del mestiere. Di quel periodo Miles raccontava il suo primo lavoro consistente nel levigare a mano le pietre litografiche con acqua e un’altra pietra. Un lavoro duro che richiedeva una grande precisione. Miles raccontava anche come in periodi in cui era difficile procurarsi pietre litografiche vergini, si provò ad utilizzare una lastra di fine arenaria proveniente dall’entroterra di Varzi e che opportunamente lavorata e levigata consentiva di ottenere risultati accettabili.Quando Macchi lascia l’attività gli subentra Miles che ha sempre lavorato con un torchio a stella tutto in legno risalente al 1826.Nel ’34 Ambrogio Casati diseg na sulla pietra uno studio di scenografia per ricordare la trasvolata atlantica compiuta in Sud-America l’anno prece dente dagli idrovolanti di Italo Balbo, è questa la prima li tografia di Miles Fiori.Nel 1945 si sposa con Renata De Giorgi ed ha due figlie, Loredana e Raffaella.
Abita e orgogliosamente si dichiara d’Urieau ma ha sempre lavorato a Voghera, nella Bottega di via Mazzini fino al 2003.
Fino alla fine degli anni cinquanta l’attività principale era la tipografia e la litografia d’arte viene realiz zata nelle ore serali e nei giorn i festivi, quando l’incontro con gli artisti avviano duraturi rapporti e colla borazioni; i primi furono Ambrogio Casati, Dino Grassi, Giansisto Gasparini. Alberto Nobile, cui si affiancano gli appassionati ed i giovani crii ci locali testimoni di un notevole fervo re culturale nella Voghera di quegli anni. Il gruppo di artisti che frequenta no la litografia si arricchisce sempre di più, tra gli altri vo gheresi Maria Lisa Lusardi, Luisa Pagano, Silverio Riva, Claudio Cignatta portano il lo ro contributo con Michele Mainoli, Paolo De Giovanni Gian Giacomo Dal Forno, Giovanni Novaresio.Dal ’74 ogni anno il Comune di Voghera ha patro cinato la presentazione di una cartella di litografie creando un appuntamento culturale particolarmente atteso non so lo dagli appassionati ma dall’intera città. Per lunghi anni Padre Nazareno Fabbretti e Giuseppe Calandra sono stati collaboratori preziosi con i loro testi che sono parte integrante di que sti lavori, unitamente a scritto ri e giornalisti vogheresi come Alberto Arbasino. Vittorio Emiliani. Antonio Airò, Tino Giudice. Ugoberto Alfassio Grimaldi.Miles accoglie volentieri gli scolari delle scuole per mostrare il nascere delle opere litografiche e farne apprezzare il contenuto artistico.Nel 1977 Fiori partecipa ad una grande mostra di grafica a Basilea in cui il suo lavoro è documentato con un’ottantina di opere . Seguono altre mostre in Svizzera . Nel 1977 rice ve come premio al Lavoro ed al Progresso Economico la medaglia d’oro, nel 1979 la nomina a Cavaliere al Merito della Repubblica ItalianaNumerosi sono stati i riconoscimenti attribuiti a Miles per onorare la sua arte e l’attività di supporto agli artisti, il suo sigillo a secco che orna le sue opere è un asso di fiori, conosciuto da tutti gli estimatori della litografia d’arte.Si spegne a casa nel gennaio del 2007. Mantengono viva la sua memoria le figlie che periodicamente organizzano mostre delle opere del padre.
Claudio Nobile – fotografo
Il fotografo Claudio Nobile nasce a Voghera il 17 luglio 1928. Il padre, operaio, si diletta di pittura. Il fratello minore, Alberto, è artista totale: ceramista e pittore di grande talento, scultore, saggista.
Claudio assorbe in famiglia la vocazione per l’arte dell’immagine. A 16 anni, nel 1944 va a bottega come tecnico di laboratorio presso Egidio Rossi, successore del fotografo Vittorio Cicala, e manifesta l’inclinazione a dare il meglio di sé in una professione che, ben praticata, ha un forte valore artistico.
Il 5 settembre 1960 rileva dalla figlia del Rossi lo Studio Cicala & Rossi di via Piana, con tutta l’attrezzatura e un immenso archivio di lastre fotografiche raccolte negli scaffali, materiale di straordinario interesse storico e documentario.Il laboratorio di via Plana diventa luogo d’incontro, per molti anni, un importante fucina della cultura locale.Nel 1979 Claudio Nobile, con atto civico che gli fa onore, decide di cedere tutto il materiale fotografico al municipio un esperto di valore, Arido Gilardi, ne fa la perizia e ne parla in termini entusiastici.Dopo la sofferta chiusura, Nobile apre un altro studio, certamente dal nome meno altisonante e glorioso in via Cairoli.Lo ricordiamo con la macchina fotografica pronta a scattare, la lunga figura allampanata alle inaugurazioni di mostre, nelle gallerie d’arte, ai tagli dei nastri nelle pubbliche cerimonie, alle celebrazioni di matrimoni in Duomo o nelle sale comunali.A causa di una lunga e dolorosa malattia, che lo ha costretto a un forzato isolamento, muore il 18 marzo 1999, all’età di settant’anni.Anche lui lascia un grande archivio di documenti e lo si può vedere nel catalogo “Un fotografo, una città”.Tratto dal catalogo della mostra a Voghera nel 2003 – Paola Nicelli.
Altri fotografi hanno operato a Voghera, come Rossi, Bianchi. Pallavicini ed altri i cui archivi sono andati dispersi o non recuperati perdendo così un patrimonio che potrebbe essere memorizzato con i nuovi metodi informatici come si sta facendo con l’archivio Cicala.
Silvana Sottotetti
Laureata in lettere, ha insegnato lettere nelle scuole superiori, è stata direttrice della Biblioteca Civica Ricottiana di Voghera. Collaboratrice del “Giornale di Voghera” dove cura una rubrica molto interessante sulla cabala del lotto,Ha frequentato il corso E.D.A. tenuto dal pittore vogherese Paolo Porriri, ricevendo incoraggiamenti a continuare la sua esperienza artistica.Si iscrive a Brera: prima quattro anni di Scuola Superiore degli Artefici con la professoressa Luciana Manellii e poi tre anni di Scuola Libera del Nudo con il professor Massimo Zuppelli.
La sua pittura figurativa ha come soggetti temi religiosi, figure umane, ritratti, nudi, paesaggi e architetture, nature morte, animali ritratti con tecnica mista del rutto personale avolte a colori a volte in bianco e nero ma sempre ricchi di atmosfera.
Principali mostre personali:”Quasi 59″ (30 settembre -7 ottobre 2006) presso il Centro “Adolescere” di Voghera”.11-12 ottobre 2008: Sala Consigliare del Municipio di Codcvilla.”Sette” (9-18 ottobre 2009) presso la Sala Pagano di Voghera”Paesaggi e architetture” 2003-2010- (13-20 giugno 2010) presso la Biblioteca Comunale di Rivanazzano.”Figure umane 2002-2010″ (20-28 novembre 2010) presso la Sala Pagano di Voghera”Nature morte (e non) 2002-201 1″ (12-20 novembre 2011) presso la Sala Pagano di Voghera. Vive ed opera a Voghera.
I pittori: Tino Montagna, Gerico, Maria Lisa Lusrdii con Robert Marchese, Foto Girardelli 2013
Questa carrellata di artisti è molto parziale e limitata agli artisti più famosi e a quelli con i quali ho avuto qualche contatto. Gli artisti in Oltre Po sono moltissimi ieri come oggi e da questo grande laboratorio escono artisti a livello nazionele ed internazionale. Voglio citare l’opera di Virginio Giacomo Bono “Oltrepò pavese vita di provincia tra cronaca e arte” CEO Voghera 1983.
Aspettiamo da anni una pinacoteca di artisti dell’Oltre Po già auspicata anche da Ambrogio Casati negli anni ’50.
Dino Grassi – Attorno al torchio di Miles Fiori
Attorno al torchio di Miles FioriTratto da un articolo di Gigi Giudice sul Giornale di Voghera.Dino Grassi: Personaggi nel laboratorio del litografo Miles FioriE’ questo il più bel quadro di Dino Grassi dove l’abilità artistica è impregnata di atmosfera, di tensione, Dino Grassi riuscì a compendiare in una grande tela il clima e i personaggi che animavano la “Bottega”. Si respira la tensione del lavoro, di creatività e confronto, pare di sentire il conversare degli artisti, sottovoce, per dare pareri e critiche, incitare al lavoro.E’ un supporto indispensabile, per capire.Al centro del quadro, di spalle nel suo camice azzurro da lavoro, è raffigurato Miles mentre si accinge a tirate una lastra. Davanti a lui si vede Giansisto Gasparini. che porge qualcosa che sembra un contenitore di colore o di solvente. Alle spalle c’è Jacques Angel che alza al cielo un foglio appena impresso, per valutare l’effetto della prima passata di colore.Da notare il cane lupo, che si mostra fra le tre figure poste in primo piano che sono: al centro, Dino Grassi autoritrattosi mentre discute con Mainoli.A lato di Grassi, che guarda sorridendo lo spettatore c’è Virginio Giacomo Bono, critico d’arte vogherese.In terzo piano si riconoscono alcuni dei frequentatori abituali: Peppino Malacalza “La voce” alter ego di Beppe Buzzi forma la coppia di cornici amati dai vogheresi. Enzo Nobis grande amico di Miles e zio di Silverio Riva, in eterno confronto sui temi della politica. Più sulla destra si vede il pittore Novaresio, partenopeo giramondo catapultato dall’Africa a Godiasco, Indica una scritta inneggiante al lavoro (in senso ironico).Si intravede il profilo di Fernanda Betto, sorella di Italo, personaggio della vita politica e culturale vogherese di cui è stato sindaco.Riconoscibile anche Daniela la giovane aiutante di bottega e un giovanissimo Cangelosi.Sul fondo si notano tre visi “i fan busarocula”. si dice bene in dialetto con l’aria di voler capire cosa sta succedendo. Il primo curioso è Bisio da Gerola. il secondo Gigi Giudice e il terzo Silverio Riva.
Questa brevissima descrizione d’ambiente rende vivi personaggi che parlano a chi guarda e respira l’aria, l’atmosfera creativa che pervade la Bottega d’Arte.
Arte “oggi”
Rassegna artistica dell’estate 1963 al Castello di Pozzolgroppo organizzata da Pietro Bisio e sponsorizzata dalla cantina SCUPELLI.