Casei Gerola

Casei Gerola

Casei Gerola non è situato nella Val Curone ma è paese di pianura, è però attraversato dal Curone che si getta nel Po a breve distanza.

Casei Gerola al confine col Piemonte, a 3 Km infatti sorge Pontecurone in provincia di Alessandria.

Santo Patrono di Casei Gerola è San Fortunato le cui spoglie sono custodite nell’Insigne Collegiata San Giovanni Battista in cui spiccano la Sala Capitolare e la Cappella Bottigella.

Casei, già Caselle, sorge all’estremità occidentale della campagna centuriata facente capo alla colonia romana di Placentia, e precisamente di un nucleo di campi intensamente coltivati attorno alla città di Iria (Voghera).

Alla fine dell’epoca antica le terre erano passate allo Stato, nel 712 il re Liutprando ne fece dono al monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia (ed è questa la prima citazione di Casei). Tra le carte di questo monastero il nome di Casei comparirà ancora per secoli fino al XIII.

Nel 1164 Casei è nominato tra le terre che Federico I assegnò a Pavia, sotto Pavia, Casei fu sede di podesteria o squadra. Sembra che già nel 1197 essa venisse infeudata agli Isimbardi di Pavia; passò poi sotto il dominio dei Beccaria, cui la tolsero i Visconti, per darla dapprima a Francesco Bussone da Carmagnola, conte di Castelnuovo Scrivia e poi, passato questi ai Veneziani, a un altro noto condottiero, Guido Torelli di Ferrara (1431). Il feudo di Casei, che comprendeva anche Cornale, rimase ai Torelli fino all’abolizione del feudalesimo (1797).

I Torelli el 1561 avevano ottenuto il titolo di Marchesi di Casei e Cornale. Nell’ambito del marchesato era compreso anche il centro di Campeggi, o Comun Campeggi, che corrisponde all’attuale cascina Campeggia; noto fin dal XII secolo, ebbe autonomia comunale ma nel XVII secolo risultava già aggregato a Casei. Analoga sorte toccò a Cagnano (attualmente Cascina Cagnano), pure noto dal medioevo.

Non meno importante era l’attuale frazione Gerola, essa sorgeva in origine più a nordovest, presso l’attuale confluenza della Scrivia nel Po.

Gerola deriva da gèra, ghiaia, infatti si sviluppò in prossimità di una vasta isola ghiaiosa del Po (Insula Guazzatoria), fu a lungo sede di un vasto comune comprendente anche Mezzana Bigli, sorto in origine sull’isola, insieme a Guazzora appartenente al feudo di Gerola. Passato come Casei a Pavia nel 1164, e anch’esso sede di podesteria, fu infeudato ai Corti di Guazzora e poi ai Bigli di Milano. Questa signoria durò sino all’abolizione del feudalesimo.

Nel 1800 iniziò il declino di Gerola: avendo Napoleone deciso di far corrispondere i confini politici al corso del Po, Mezzana Bigli, che si trova a nord del fiume, fu diviso da Gerola, il cui comune fu diviso in tre parti isolate tra loro; in seguito lo spostamento verso sud del corso del fiume rese inabitabile ciò che restava, per cui gli abitanti di Gerola costruirono un nuovo centro, detto Gerola Nuova, in un territorio che apparteneva a Casei. Nel 1835, gli stessi abitanti cedettero ciò che restava del loro comune a Casei, e si fusero con essi nel nuovo comune di Casei Gerola.

Nell’estate dell’anno 1416 Lancellotto Beccaria, allievo di Fiore de Liberi, Signore di Casei dal 1410, veniva meno alla parola data: aveva giurato sui Santi Vangeli e sulle teste dei suoi figli perenne fedeltà a Filippo Maria Visconti Duca di Milano ed aveva in cambio ottenuto l’infeudazione di questa terra, insieme con quelle di Silvano e Serravalle.

Nel frattempo tramava nell’ombra contro il suo ignaro Signore col Duca di Ferrara, col Malatesta e col Marchese di Monferrato.

Si levò in armi, come già aveva fatto innumerevoli volte, contro la Casa dei Visconti. Filippo Maria disse basta e inviò contro Beccaria il Capitano Generale delle armate ducali: il Conte di Carmagnola. Anche gli abitanti di Casei, stanchi del tiranno e dei suoi spergiuri fornirono al Carmagnola 25 balestrieri e 70 pavesari (fanti armati di lunghe spade e grandi scudi), conquistarono il castello. Lancellotto Beccaria fu condotto in catene nella citta di Pavia e, per il suo tradimento, impiccato nella pubblica piazza.

Quasi 600 anni dopo il borgo di Casei rivive in Casei Medievale i fatti della battaglia tra il Conte di Carmagnola e Lancellotto Beccaria. Entrambi protagonisti di quella stagione tra la fine ‘300 e l’inizio del ‘500 che vide le scorrerie dei capitani di ventura artefici della storia del paese.

Di particolere pregio è il ciclo pittorico della Sala Capitolare è composto di alcuni pregevoli lacerti di affreschi quattrocenteschi. Nella parete maggiore a sud, sono rappresentati Sant’Agostino e San Sebastiano insieme ad uno scomparto con elementi fitomorfi rappresentante una pianta di melograno carica di frutti maturi, databili alla seconda metà del Quattrocento.

La parete di fronte all’ingresso, rivolta a oriente, presenta a destra della finestra le figure ora, ben leggibili, di S. Chiara e San Martino sormontati da uno stemma nobiliare: di fattura più vecchia, mantengono un’ impronta tardo gotica, metà del secolo XV.

A sinistra della finestra sono riapparsi S. Cristoforo e Santo Stefano, anch’essi coronati da uno stemma, parzialmente perduto nella parte superiore, nonostante le numerosissime abrasioni, le superficiali tracce di annerimento, forse risultato di un incendio, si tratta di una testimonianza importante, unica sopravvissuta degli affreschi della fase tardo medievale.

La presenza dello stemma dei Trovamala di Sale e Castelnuovo, che prendono origine dal ceppo di Pavia, da cui diramarono nel Vogherese, nel Tortonese e nel capoluogo lombardo, imparentandosi con i Visconti (una zia di Bianca Maria, ultima dei Visconti e moglie di Francesco I Sforza, era moglie di un Trovamala) è nel linguaggio araldic uno “scaccato di rosso e argento col capo d’oro all’aquila di nero coronata”.

Negli affreschi di Casei è riprodotto in una versione che lo Stemmario Trivulziano attribuisce all’anno 1478.

Il Cavagna Sangiuliani annovera i Trovamala tra le famiglie più antiche di Voghera; Nei sec. XII – XIV. Rolando Trovamala di Sale è teste in atto del 20 marzo 1365 ove, per disposizione di Galeazzo Visconti, vengono stabiliti e segnalati i confini tra i territori di Tortona e Voghera. Rolando presenzia all’investitura di Sorli e dipendenze a Gian Galeazzo Visconti da parte del Vescovo di Tortona Giovanni Ceva.

Sebbene priva di riscontro, si ritiene valida la nomina segnalata dal Marozzi nel suo “Blasonario Pavese” di un altro Trovamalaa nome Ambrogio, a Podestà di Tortona nel 1463.

Battista Trovamale era figlio di una Donina a cui Bianca Maria (ultima dei Visconti e moglie di Francesco I Sforza) aveva affidato l’educazione di Galeazzo Maria e Ludovico il Moro. Fattosi francescano si legò all’osservanza di San Bernardino e nel 1470 era Vicario provinciale in Liguria e Piemonte. Tra il 1470 e il 1476, ma forse nel 1470 quando come Vicario dovette visitare i conventi del Piemonte, predicò a Torino”.

È probabilmente a questo periodo che si può far risalire la sua presenza a Casei, dove l’attuale Collegiata era allora chiesa francescana dell’Osservanza di San Bernardino, e la conseguente committenza degli affreschi della parete orientale della Sala Capitolare, coronati con stemma della sua casata.

Nel dicembre 1483, non più giovane, nel convento di Levanto terminò la prima stesura della Summa Casuum, a cui aggiunge qualche pagina di appendice durante la stampa avvenuta a Novi nel 1484.

Visto il successo ottenuto, nel 1489 pubblicò una nuova edizione a Norimberga ed ebbe altre quattro edizioni nel 1488, dal titolo di “Summa Baptistiana” dal suo nome: Norimberga, Spira, Venezia e Lione riveduta e soprattutto ampliata, dedicandola al cardinale Ascanio Sforza.

L’opera del Trovamala si presenta come un’imponete enciclopedia morale e giuridica.

Col nome di “Summa Rosella” si definì invece la nuova edizione uscita a Pavia nel 1489 e poi ancora a Venezia nel 1495, 1498, 1499 e nel 1500 a Lione, nel 1516 a Strasburgo e nel 1526 ancora a Venezia. La diffusione dell’opera è documentata dalle 250 copie attualmente esistenti nelle principali biblioteche europee.Non è noto il luogo e la data della sua morte.

L’intervento di restauro

La colleggiata è stata oggetto di delicati restauri, specie nella sala capitolare dove si trovano particolari che ricordano lo stile di alla bottega dei Baxilio.

Il recupero degli spazi della Sala Capitolare ha salvato un’aula quattrocentesca di chiara impronta lombarda.

Di estremo interesse è stata la scoperta di un sacrario, sempre quattrocentesco, in uso forse fino alla fine dell’Ottocento, che veniva utilizzato per disfarsi dei rifiuti delle funzioni religiose (olii, ceneri, acqua benedetta, arredi sacri deteriorati), qui sono stati rinvenuti alcuni frammenti di vari materiali, tra cui il coperchio di una navicella liturgica. Il sacrario era stato interamente nascosto dalla muratura.

San Fortunato

San Fortunato è un legionario romano, africano, originario dell’Alto Egitto al confine con la Nubia, che poco più che ventenne, nel 286, coronò la sua fede col martirio in quello che oggi è il Vallese svizzero. Dal 1765 il suo corpo fu traslato a Casei Gerola, già allora importante borgo della diocesi di Tortona.

Nella tarda estate dell’anno 286 nella valle di Agaunum, aveva posto il campo la legione Tebea, nelle aspre gole di monti selvaggi, confine della civiltà romana e via che univa la pianura padana alla valle del Reno: in quella che per noi oggi è la Svizzera meridionale, più precisamente il Vallese.

Maurizio era il comandante in capo, Candido, Vittore ed Essuperio erano gli alti ufficiali, Alessandro custodiva, come signifero, le insegne da battaglia della legione; tra i militi vi era anche Fortunato, l’araldo giunse al campo con l’ordine di marcia, si dovevano levare le tende e partire, perché Massimiano aveva deciso di sferrare l’ultimo definitivo attacco volto a spezzare la resistenza dei ribelli.

Per propiziarsi l’esito della battaglia il comandante supremo ordinava a tutte le sue legioni di offrire sacrifici agli dei di Roma, ciascuna nel proprio campo, quella sera stessa prima della partenza.

I legionari cristiani si rifiutarono di fare i sacrifici agli dei e Maurizio ordinò la morte per chi si rifiutava.

Fortunato venne trucidato con gli altri legionari cristiani a colpi di clava. Il suo corpo venne trasferito dal luogo del martirio ad Agaunum nelle Alpi svizzere fino a Roma. Forse lo raccolse e lo custodì un commilitone. Di certo sappiamo che fu venerato nelle catacombe romane di San Callisto fino al 1746, quando il cardinale Guadagni, vicario di Papa Benedetto XIV per la città di Roma, ne ordinò la riesumazione e l’esposizione nella Collegiata romana di Santa Maria in Via Lata.

Da Santa Maria in Via Lata le reliquie di San Fortunato giunsero a Casei nel 1765, come dono della Santa Sede al Prevosto dell’Insigne Collegiata, ai canonici e alla comunità casellese, tramite il vescovo di Tortona mons. Giuseppe Ludovico de Anduxar.

Non deve meravigliare questo gesto, se si considera che la Parrocchia di Casei, fino al Prevosto don Bianchi agli inizi del 1900, fu di “collazione papale”, cioè il suo parroco era nominato direttamente da Roma con bolla papale e per potervi essere designato un sacerdote doveva esibire un titolo accademico in teologia conseguito presso una facoltà romana, come attesta un documento dell’archivio parrocchiale, datato 1806.

All’epoca della traslazione a Casei di San Fortunato risale la preziosa urna che custodisce le reliquie e in quell’occasione le ossa del capo frantumate (indizio del martirio avvenuto a colpi di clava, come si usava fare presso l’esercito romano in occasione delle decimazioni) vennero inserite in un’apposito rivestimento.

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