
Casteggio
Casteggio è oggi un Comune di 6.500 abitanti, alla destra del torrente Coppa, affluente del Po nel punto in cui sbocca in pianura per proseguire fino alla foce presso Bressana Bottarone. L’abitato si estende in parte sui primi colli facenti parte dell’Appennino Ligure, in parte nella pianura alla destra del Po. È attraversato dalla ex statale 10 (Padana Inferiore), dalla ferrovia Alessandria-Piacenza e situato a breve distanza dal casello dall’Autostrada A21 (Torino – Piacenza – Brescia), che si raggiunge percorrendo la ex statale 35 dei Giovi.
Il territorio comunale parte in pianura, parte in collina, è interessato dal corso del Coppa e il piccolo torrente Rile, che nasce nel comune di Calvignano. La collina casteggiana è quindi divisa dalla valle del Rile in due parti: a ovest, tra Rile e Coppa, la dorsale che termina nel Pistornile, a sua volta incisa dalla valletta del Riazzolo che separa la dorsale principale da una minore, verso ovest, detta Monfirè; a est i colli su cui sorge la frazione Mairano, delimitati sul confine orientale dal torrente Rile San Zeno.
Monumenti e luoghi d’interesse
Tra gli edifici storici: la Collegiata di San Pietro Martire, di antichissima origine, ricostruita nel 1814 ma con il campanile trecentesco, che domina l’abitato; la chiesa di San Sebastiano, già sede dell’omonima confraternita, progettata da Lorenzo Cassani (XVIII secolo), con magnifico stallo corale; il palazzo della Certosa Cantù (1705), che ospita la biblioteca civica, l’auditorium Cantù e il civico museo archeologico, ricco di reperti in gran parte di provenienza locale.
Nella frazione Mairano sorge l’ottocentesca Villa Marina, nella quale dimorò anche Giuseppe Mazzini. Sulla strada per Calvignano, da segnalare Villa Pegazzera, edificata per volere del Collegio Borromeo di Pavia come convitto estivo, risalente nelle sue forme originarie al primo ‘700; sempre nei dintorni di Casteggio c’è la neoclassica Villa Frecciarossa, progettata per i marchesi Botta Adorno alla fine dell’800. Sia la Pegazzera che Frecciarossa sono sedi di rinomate cantine che producono celebri vini. Villa Frecciarossa
Degno di nota anche il Monumento alla Vittoria, situata nel Parco delle Rimembranze, un’imponente scultura bronzea (è alta oltre 18 metri) opera di Enrico Astorri; per la sua fusione furono necessarie oltre 25 tonnellate di bronzo e la costruzione di una speciale fonderia non esistendone al tempo (1926) altre adatte allo scopo.
Vicino alla Via Emilia, proseguendo verso Fumo, si trova la famosa Fontana d’Annibale, dove questi fece abbeverare i suoi elefanti.
Casteggio vanta numerose ville sulle colline, ricca di presenze famose, da Garibaldi ad Einstein.
Casteggio 11 luglio 1942. “Il Duce si è pure compiaciuto che il suo nome venga inciso nell’albo dei benefattori insigni della chiesa e del Borgo e che nella nostra cripta sacrario sia posto un medaglione in memoria del suo eroico figlio Capitano Bruno Mussolini”. Così scriveva, Lo Svegliarino a proposito dell’offerta di Benito Mussolini che aveva voluto intervenire di persona per contribuire all’ultimazione della nuova chiesa dedicata al Sacro Cuore.
Nel Caffé Italia, nel secolo scorso sorgeva l’albergo della Posta, ritrovo dei patrioti e fulcro degli entusiasmi rinascimentali. Poco distante, nell’attuale tabaccheria Rossi, era invece il Caffé Gaiotti, dove nella primavera del 1884, Giuseppe Garibaldi fece tappa mentre si trovava in viaggio per Milano. All’eroe dei due mondi, Casteggio, che vanta una forte tradizione garibaldina, volle dedicare una via e una targa, realizzata dallo scultore Alfonso Marabelli e collocata in piazza, sulla faccia di Casa Giulietti (ora Banco-Ambrosiano).
La facciata Liberty di Palazzo Ravetta, oggi sede dell’Albergo-Paninoteca Cavour. Di ispirazione francese, nella parte centrale l’edificio è dominato da due grandi cariatidi che con le braccia sostengono una sottogronda, a sua volta realizzata dall’ingegner Raffaele Ravetta, fu ispirata dalla pittrice casteggiana Lina Sannazzaro e dal marito già citato Marabelli.
Monumento bronzeo realizzato nel 1984 dallo scultore Giovanni Scapolla e dedicato ai partigiani uccisi nella guerra di liberazione dal nazi-fascismo.
Palazzo Battanoli, costruito nel Settecento conglobando parte delle antiche mura difensive di età viscontea, ora sede della Biblioteca Civica.
A sinistra, sulla facciata di casa Oleotti, è conservato un bassorilievo in alabastro risalente alla fine del XV secolo che raffigura la Vergine. L’opera proviene dall’antico oratorio dedicato alla madonna della Neve (S. Maria ad Nives), che sorgeva sul piazzale e che venne demolito nel settecento.
Palazzo Bettanoli, sotto la cui volta sono stati murati alcuni reperti archeologici di epoca romana rinvenuti in paese.In via Castello notiamo la lapide in marmo dedicata al dottor Carlo Sclavi, medico condotto del secolo scorso e generoso benefattore.All’incrocio con via Monsignor Torta, si trova invece palazzo Carena: realizzato nel ‘700, nella sua parte nobile l’edificio è adibito ad abitazioni popolari, mentre quella che era la parte rustica ospita il Municipio.
Giardino delle Rimembranze
Il giardino delle Rimembranze he sale verso largo Alpini ed è dominata dal simbolo di Casteggio ossia la statua della Vittoria Alata, dedicata ai caduti della prima guerra mondiale, realizzata in bronzo dallo scultore Pier Enrico Astorri e imponente nei suoi diciotto metri e mezzo di altezza, l’opera venne inaugurata il 21 novembre 1926 da Umberto di Savoia, allora principe del Piemonte.
Nei giardini, oltre a due cannoni austriaci, residuati del primo grande conflitto, è conservata un‘urna in marmo travertino, realizzata dallo scultore Alfonso Marabelli, dove, dal 1937, riposano i resti dell’esploratore Giuseppe Maria Giuletti, trucidato in Dankalia insieme alla sua spedizione.
A fianco del complesso corrono i caratteristici archi, edificati verso il 1767 per ampliare la spianata del Pistornile dove, ogni mercoledì, si svolgeva il mercato.
Di fronte troviamo la chiesa di S. Sebastiano, senza dubbio l’edificio religioso artisticamente più rilevante, ma purtroppo chiusa al culto da anni.L’edificio sorse nel 1570 sotto l’invocazione della S. Trinità, poi mutata in quella di S. Sebastiano nel 1590.
Nel 1750 fu edificato il campanile con la cupola in marmo, mentre nel 1767 venne avviata una ristrutturazione generale con la creazione di cappelle laterali. Il progettista, l’architetto Lorenzo Cassani di Pavia, la dotò di una suggestiva facciata barocca, caricata al centro da un medaglione affrescato che raffigura S. Sebastiano, attribuito alla scuola del Parmigianino, oggi purtroppo quasi scomparso. All’interno l’edificio presenta due altari laterali, uno di marmo dedicato a San Carlo Borromeo, l’altro in stucco dedicato all’Immacolata. L’altar maggiore, in marmo è stato asportato in seguito a lavori conservativi nel 1776 da Francesco Antonio Coscia e da Giovanni Carlo Clavenzani.
Al centro del coro si trova il dipinto che raffigura S. Sebastiano, S.Rocco, la trinità e la Vergine, opera del secolo XVII, realizzato dal Bibilena anche se a lungo erroneamente attribuito a Bernardino Luini.
Il Pistornile
Proseguendo ci si inoltra nell’antico impianto romano del borgo, di cui via Castello costituisce il “cardo massimo”, eredità dell’epoca latina, quando la parte alta del paese era occupata da un accampamento militare.
Il toponimo “Pistornile” è di origine chiaramente latina e deriva dal fatto che in epoca romana la zona era occupata dai magazzini di vettovaglie e in particolare da macine enormi detti “pistoria”, da cui “pistoriensis domus”.
Il Pistornile fu scenario di violente battaglie nel 222 a. C., quando il console Marcello sconfisse i Galli condotti dal re Virdumaro, e poi ancora nel 21 a. C., quando l’antica Clastidium venne conquistata dall’esercito del cartigianese Annibale.
L’ex convento delle Clarisse, nella cui ala sud visse Alessandro Maragliano, figura eclettica del mondo della cultura del secolo scorso, poeta e scrittore, pittore e scultore, commediografo e storico molto noto a Voghera dove è nato nel 1850.
Nel 1859 Napoleone III salì a cavallo sul Belvedere per osservare l’immenso campo di battaglia, ancora fumante, che si stendeva ai suoi piedi mentre l’esercito austriaco si ritirava da Barbianello.
Parrocchiale dedicata a S.Pietro Martire.
Dell’originario edificio trecentesco rimangono solo la sacrestia e la torre campanaria (ristrutturata dopo il terremoto del 1828 ed in seguito dotata di un orologio).
Palazzo Civardi, già dei conti Mezzabarba di Pavia. Dalla base scarpata che si nota verso via Circonvallazione Cantù l’edificio mostra tutta la sua robustezza, tale da far ritenere che si tratti della parte superstite dell’antico castello medievale di cui non è rimasta altra traccia.
La Certosa, edificata fra il 1700 e il 1705 dai monaci seguaci di San Brunone, passò a privati nell’Ottocento e fu lasciata in eredità al Comune dal suo ultimo proprietario, il prof. Luigi Cantù. I monaci vi avviarono uno dei più moderni e capaci impianti di produzione di vino dell’epoca. Ampiamente restaurato, l’edificio accoglie nell’ala già occupata dalle scuderie il Museo Civico Archeologico, interessante per la ricchezza di reperti di epoca romana e per la raccolta di fossili e minerali.
Villa Pelizza-Marangoni, nota come la “Cà d’Oro“, in quanto riecheggia nelle linee il celebre edificio veneziano. La casa si trova in via Sforza Visconti, nel cuore del centro storico.
Nei primi anni del Novecento, fu un raffinato salotto culturale, si davano convegno Eugenio Montale e Vasha Priodha, Diego Valeri e Salvator Gotta, Giovanni Banfi e Mario Baratta, nelle sue sale echeggiava il suono del violino di Albert Einstein, accompagnato al pianoforte della sorella Maja.
Un paese nel cuore di Einstein
Nella Villa Pelizza Marangoni il giovane Albert Einstein, era richiamato olre che dalla bellezza dei nostri luoghi, soprattutto dalle gentili forme della “padroncina” di quel singolare angolo di “paradiso”, Ernestina Marangoni. Il primo incontro tra Albert ed Ernestina, un classico coupe de foudre voluto dal destino, fu in Pavia, lungo il Ticinio dove, come racconta la ragazza:
”si era nel 1896, io e mia madre eravamo a fare il bagno a Ticino, quando si presentò un professore amico di famiglia (Otto Neustatter di Konisberg) venuto a far pratica oculistica presso l’illustre professor Falchi, accompagnato da un giovane che venne presentato a mia madre come Albert Einstein.
In quel momento stavo imparando a fare “il morto” nelle acque del Ticino, mia madre mi chiamò e io mi diressi verso riva ove ebbi modo di conoscere il diciassettenne Einstein. Era un giovinotto smilzo e scialbo pallido in viso coi capelli di un chiaro castano a piccoli ricci e gli occhi di un grigio scuro, senza traccia di baffi, un viso gentile e quasi femmineo. Nessuna pretesa di eleganza. Parlava l’italiano con un certo sforzo, ma riusciva sempre a spiegarsi”.
Qualche giorno dopo, da alcuni mesi si era stabilito a Pavia con i genitori, accompagnato dal dottor Neustatter, fu condotto in Casteggio nella villa Pistomile e successivamente seguì la presentazione ad Ernestina della sorella del futuro scienziato, quella Maja che, per le comuni affinità musicali con la padroncina di casa, ne divenne più che un’amica, una sorella.
Lunghe passeggiate tra vigneti interrompevano, alternandosi, le virtuose esecuzioni, un paio d’ore di buona musica al pianoforte , accompagnate da Albert con il violino che la signora Rachele Venco, madre di Ernestina, premurosamente si faceva dare in prestito dal cugino, il notaio Davide Giuletti, dopo di chè il gruppo, lasciata la casa, si inoltrava tra i vigneti che circondavano il Pistornile, in lunghe passeggiate sino ai fondi vitati di Giulio Marangoni al Pozzo Bianco e quindi alla Camarà, nei tenimenti dell’ingenger Pasquale Pelizza (futuro suocero di Ernestina): “la prima volta che lo accompagnai nei nostri vigneti per vendemmia ne rimase incantato “non ho mai visto l’uva così bella!”- Anche qui gli procuravo un violino e lui faceva musica”.
Poi venne le guerra mondiale, la seconda, la più sconvolgente. Le restrizioni razziali avevano portato lo scienziato, di origine ebraica, negli Stati Uniti, a Princeton con la sorella Maja.
Mote memorie ed appunti andarono dispersi dopo la morte di Ernestina nel 1972. Alla tristezza per la lontananza del caro colle della sua giovinezza, Einstein in quegli anni univa un’intrinseca amarezza per il destino che, con la fama acquista, lo aveva condannato ad essere definito “padre della bomba di Hiroshima”.
Il 18 aprile 1955, data della sua morte, in un momento di sconforto, confessò “se tornassi indietro giovane, invece dello scienziato farei qualunque altro mestiere, anche lo stagnino!”.
Eistrein conosceva l’Oltre Po, infatti ancora sedicenne scappò dal collegio di Monaco e raggiunse la famiglia che allora abitava in via Ugo Foscolo (la casa dove abitò l’insigne scrittore) un giorno il giovane Eistein raggiunse Voghera in treno, poi a piedi percorse la Valle Staffura, raggiunse Bobbio, Ottone, Torriglia e infine Genova dove andò in casa dello zio che aveva un ufficio di commercio di grano in Piazza delle Oche. Il fatto è ancora ricordato nel sito “Piazza delle oche”.