Novi Ligure

Novi Ligure

La storia di Novi si discosta da quella dell’Oltre Po Iriato anche se in certi periodi è collegata a Tortona e Pavia, la città segue la storia di Genova.
Novi Ligure, Nêuve che in dialetto significa anche 9, è una città con poco meno di 30.000 abitanti, assunse l’attuale denominazione Novi Ligure nel 1863 per reclamare l’appartenenza a Genova e non al Piemonte.
http://it.wikipedia.org/wiki/Novi_Ligure

La leggenda narra che Novi venne fondata da un gruppo di monaci fuggito dalla vicina città romana di Libarna http://www.appennino4p.it/libarna durante le invasioni barbariche, questi monaci costruirono nove abitazioni, e vi si stabilirono (divennero poi villaggi e poi castellieri fortificati), si presume che sul posto probabilmente sorgeva un precedente castelliere degli antichi Liguri che abitualmente costruivano i loro insediamenti sui rilievi dai quali dominavano ampi territori.

Dall’anno 1000 fu annessa prima a Pavia, poi Tortona e Genova. Nel 1799, dopo un’aspra battaglia combattuta tra Austriaci e l’armata Napoleonica comandata da Joubert (che uscì sconfitto e trovò la morte) venne prima annessa al regno di Francia e infine nel 1815, dopo la restaurazione, fu annessa al regno di Sardegna, diventando anche provincia della Regione Liguria, fino ai primi anni del Regno d’Italia, quando nella riforma Rattazzi fu accorpata sotto la provincia di Alessandria entrando a far parte della Regione Piemonte.

La fortuna della città è data dalla strategica collocazione geografica, divenne contesa da parte degli antichi stati medievali ed in seguito centro della Repubblica di Genova nella regione storica dell’Oltregiogo, quale crocevia dei traffici economici e commerciali tra Genova, la Superba, la pianura padana e oltre.

Disegno di Novi Settecentesca ripostata su “Curtis Novarum” di Serafino Cavazza

Sulla storia di Novi citiamo fra i numerosi libri:
Serafino Cavazza, Curtis Novarum, Scuola tipografica San Giuseppe – Tortona 1962

Serafino Cavazza, “Il secolo di Novi barocca” Scuola tipografica San Giuseppe – Tortona 1970
La fontana di Palazzo Dellepiane

Meridiane di Palazzo Negroni dipinte durante la Repubblica Ligure

L’abitato è situato sulle estreme pendici settentrionali dell’Appennino Ligure, in colline ondulate, per la maggior parte coltivate a vite e, in parte ancora boscose, digradante verso il fiume Scrivia.

Dall’unione dei nove insediamenti fondati dai monaci nacque “Curtis Nova”, costituita da una comunità rurale non ancora riunita in un unico borgo, fece parte della Marca Obertenga, fu donata prima del 970 da Ottone I al monastero di San Salvatore di Pavia e divenne castello a cavallo dell’anno 1000.

Libero comune nei primi decenni del XII secolo, in equilibrio tra le città di Tortona e Pavia, in lotta tra loro, e Genova, alleata dei pavesi. Entrata nell’orbita tortonese, restò soggetta a questa città anche dopo la pace di Costanza (1183).

Fu ceduta al marchese del Monferrato per un breve periodo (1223-1232), tornò nuovamente a Tortona fino al 1264 per poi passare sotto il dominio di Guglielmo VII Lungaspada. Oggetto di contesa tra il Monferrato e i signori di Milano, fu conquistata da Giovanni Visconti nel 1353, il quale aveva anche assunto la signoria di Genova.
Donata a Genova nel 1392, fu occupata da Facino Cane nel 1409 che la tenne fino alla morte (1412). Tornata nell’orbita milanese, fu infeudata alla famiglia genovese dei Fregoso.

Il periodo genovese (1447-1797)
Nel 1447 la comunità di Novi decise di sottrarsi alla sfera milanese, dopo la morte del duca Filippo Maria Visconti si diede a Genova con la sottoscrizione di una convenzione, che non fu mai completamente operativa, in seguito all’avvento degli Sforza.
Passata sotto il dominio francese dopo la disfatta di Ludovico il Moro, restò sotto il dominio feudale dei Fregoso, fino all’avvento a Genova di Andrea Doria.

Battaglia di Novi del pittore Alexander Kotzebue (1815 . 1889)

Colleggiata di Santa Maria Maggiore

Dopo una breve parentesi francese con Carlo V, Novi passò sotto il dominio diretto di Genova (diventando la città più importante del territorio chiamato Oltregiogo) e vi rimase fino alla fine della Repubblica di Genova (avvenuta nel 1797) passata poi allae Repubblica Ligure nell’anno 1805. Seguì una breve parentesi con l’occupazione austro-piemontese durante la guerra di successione austriaca (1745-46), momento nel quale Novi ottenne il titolo onorifico di città.
Tornò a far parte della Repubblica di Genova fino al al 1797.

La battaglia di Novi e l’ingresso nel Regno di Sardegna
Nel 1799, all’epoca della Repubblica Ligure di cui fu parte dal 1797 al 1805, Novi fu teatro di un’aspra battaglia, sostenuta tra i corsi del torrente Lemme e dello Scrivia, combattuta fra gli austro-russi guidati dai generali Melas e Suvorov ed i francesi comandati dal generale Joubert (che trovò la morte nelle fasi iniziali dello scontro, lasciando il comando nelle mani di Moreau).
In seguito alla sconfitta i francesi furono costretti a ripiegare su Genova. Entrò quindi a far parte del Primo Impero francese, compresa nel territorio del Dipartimento di Genova, di cui fu parte dal 1805 al 1815, anno in cui, conseguentemente agli accordi del Congresso di Vienna, il dipartimento venne abolito e la città annessa al Regno di Sardegna ed inclusa nella nuova Divisione di Genova.

Capoluogo di provincia dal 1818, dopo la promulgazione del Decreto Rattazzi assunse il nome di “Novi Ligure”, sia per sottolineare un importante periodo storico della città, sia per evidenziare l’opinione contraria creatasi in seguito alla riforma amministrativa voluta dal primo ministro Rattazzi, che soppresse la provincia nel 1859, incorporandola in quella di Alessandria e quindi di conseguenza al futuro Piemonte.

La seconda metà dell’Ottocento fu per la città un periodo di forte espansione, grazie all’arrivo della ferrovia Torino-Genova (1850). La strategica posizione geografica, unita alla disponibilità di ampi spazi, e manovalanza (garantita dall’inurbamento degli abitanti delle campagne e delle valli circostanti) alle nuove infrastrutture che garantivano il rapido trasferimento delle merci prodotte, favorì il sorgere di nuove industrie. Tra queste degne di nota fu la “Carbonifera” del novese Edilio Raggio, che sul finire del XIX secolo produceva, con i residui polverosi del carbone, delle mattonelle per l’uso civile e la trazione delle locomotive.

Nel 1815 la città fu visitata dal Sommo Pontefice Pio VII e l’evento è ricordato da una lapide.

L’aumento dei traffici tra Novi ed il porto di Genova fu uno dei motivi della realizzazione, nel 1889, del “secondo valico” passando per il passo dei Giovi che affiancava la vecchia strada che passava per Busalla.

La forte vocazione industriale fu ulteriormente accresciuta dall’insediamento, avvenuto nel 1900 della “Ferriera”, una grande acciaieria posta alla periferia dell’abitato, in prossimità del parco ferroviario di San Bovo.

Il lasso di tempo che va dalla prima guerra mondiale alla seconda fu caratterizzato da un rallentamento dello sviluppo della città.
L’8 luglio 1943 (due mesi esatti prima che si rendesse pubblico l’Armistizio di Cassibile) la città, a causa della sue infrastrutture ferroviarie strategiche, fu pesantemente bombardata dai bombardieri alleati.

Fra le vicende belliche di Novi, vanno ricordate anche la battaglia di Pertuso e la precedente strage della Benedicta.

Il titolo di Città fu conferito nel 1746 da Carlo Emanuele III di Savoia, durante il breve periodo di occupazione sabauda nel momento storico della guerra di successione austriaca. Successivamente alla pace di Aquisgrana (18 ottobre 1748), ristabilita l’appartenenza alla Repubblica di Genova, il doge Cesare Cattaneo Della Volta confermò alla comunità di Novi tale titolo onorifico.

Piazza Dellepiane

La piazza

Novi fu scelta come residenza di campagna da numerose famiglie genovesi nel XVII e XVIII secolo; i Doria, Balbi, Spinola, Negroni, Centurioni, Durazzo, Campanella, Boggiano, lasciarono pregevoli edifici, la maggior parte di queste case sono esternamente dipinte in verde o in rosso secondo l’usanza genovese.

Numerosi palazzi nobiliari, conservano ancora una facciata affrescata come Palazzo Negroni, ricco di decorazioni dello stesso secolo e dotato di due meridiane, una delle quali basata sul calendario rivoluzionario francese. Conserva sul lato del cortile notevoli tracce della decorazione originaria seicentesca.

La più importante piazza del centro storico è dedicata alla famiglia Dellepiane, dal nome della storica famiglia nobile genovese originaria della Val Polcevera, sulla piazza si affacciano, oltre all’omonimo Palazzo Delle Piane, la chiesa Collegiata e Palazzo Negroni.

I Delle Piane diedero origine ad una prospera industria di tessitura famosa per i velluti e i fustagni, aveva nel pian terreno del suo palazzo un grande ed elegante negozio del propri prodotti, noto anche per la sua splendida Premièr Aldina.

Molti nobili genovesi preferirono costruire ville in campagna con annessa azienda agricola che li riforniva di vettovaglie e vno come i Boggiano proprietari di Villa Alfiera.

Di particolare pregio è la tenuta La Marchesa, http://www.tenutalamarchesa.it/ una villa di campagna della seconda metà del XVIII secolo inserita, come pure la Pumela o Pomela (Pumèla) trasformata Hotel di lusso e in centro congressi
http://www.relaisvillapomela-noviligure.com/index.htm?lbl=ggl-en&gclid=COn-oPKy3bsCFcVX3godjBgANw

Sono note le cascine “Alfiera” dove nacque mia madre, “Merlassino” dove nacque mia nonna e le sue 3 sorelle, e poi “La Pessa”, “Lomellina” e molte altre.

Nel cimitero cittadino si trovano due pregevoli opere dello scultore genovese Lorenzo Orengo: la tomba Daglio e tomba Denegri.

La pieve di Santa Maria è il più antico edificio religioso della città (XII secolo). da il nome al quartiere “a Pive”, in posizione decentrata lungo la strada per Cassano (un tempo era infatti una chiesa campestre), ha pianta a tre navata e absidi originali. All’interno, un affresco datato 1474, dipinto da Manfredino Boxilio, raffigura l’allora signora di Novi, Oriana di Campofregoso e alcuni santi (Sant’Anna, San Giovanni e Santa Margherita).

La caserma Giorgi
A Novi si trova anche l’ex caserma Giorgi, considerata un bell’esempio di architettura militare, oggi sede della Polizia Municipale, della Guardia Di Finanza, della Sezione Distaccata del Tribunale di Alessandria e della sezione locale della Protezione Civile. I reparti di cavalleria facevano le esercitazioni in un vasto piazzale in centro città, ancora oggi detto “e manègiu”.

L’Aereoporto
Novi è dotata di aeroporto ex militare: E. Mossi oggi destinato a scopi civili, scuola di volo e di paracadutismo.
http://it.wikipedia.org/wiki/Aeroporto_di_Novi_Ligure

Novi conserva ancora un breve tratto delle mura cittadine, erette nel 1447, demolite nel 1825 e la torre alta 30 metri, del castello, smantellato nel XVIII secolo.

La Biblioteca civica di Novi Ligure, costituita nel 1833, possiede oggi un prezioso patrimonio librario, valutabile in circa novantamila volumi, una vasta emeroteca, un considerevole numero di volumi antichi, è stata ricavata dalla riconversione di un ex convento seicentesco delle Clarisse, nel centro storico.

A Novi si pubblicano due giornali locali e un quotidiano online, Novionline.
Nel 2003 è stato inaugurato il museo dei campionissimi (due grandi ciclisti di origine novese, Costante Girardengo e Fausto Coppi, quest’ultimo in realtà nato a Castellania presso Tortona ma abitante nella sua villa longo la statale per Serravalle in località Barbellotta). Si tratta di una vasta esposizione di 3.000 mq dedicata alla storia della bicicletta, del ciclismo agonistico e alle figure dei due campioni novesi.

La figura di Costante Girardengo è legata ad un altro famoso (al negativo) novese si tratta di Sante Pollastri detto Polastro, una figura di bandito anarchico amico d’infanzia di Girardengo, nato a Novi nel 1899 dopo una vita rocambolesca, prevalentemente in Francia, autore di numerosi delitti, specie di uomini delle forze dell’ordine, mori poi nel 1979. Sulla vita dei due si scrisse una fiction televisiva e una canzone.

In città sono presenti due teatri: l’ottocentesco “Teatro Romualdo Marenco”, inaugurato nel 1839 come “Teatro Carlo Alberto”, ed il moderno “Teatro Paolo Giacometti” (ex teatro Ilva), dedicati rispettivamente al compositore ed al drammaturgo di origine novese. Se per il teatro “Romualdo Marenco”, attualmente in disuso, è avviato l’iter per il recupero architettonico-funzionale, al “Paolo Giacometti” sono messi in scena spettacoli teatrali durante tutto l’anno.

L’antico Bar Teatro prima dei restauri, è stato gestito da Rina e Giacomo, quest’ultimo spesso sostava sull’ingresso del bar, salutando e conversando con i passanti, tenendo un inseparabile stuzzicadenti in bocca. Il bar era famoso per consentire di bere il caffè “in collina” in quanto in una delle salette in cui si giocava a carte, il pavimento si era gonfiato producendo una vasta gobba su cui erano posti alcuni tavolini “in collina”.

Cittadini illustri
Tra i cittadini novesi più illustri oltre ai campioni del ciclismo Costante Girardengo e Fausto Coppi, voglio citare il compositore Romualdo Marenco, la cantante Tonina Torrielli nota negli anni’ 60 (conosciuta cmme la caramellaia di Novi in quanto operaia nella ditta dolciaria “Novi”), il doge di Genova Paolo da Novi e il drammaturgo Paolo Giacometti. Grande notorietà hanno acquisito pure in tempi recenti l’attore e comico di origine novese Claudio Bisio ed il giornalista Gigi Moncalvo.

Romualdo Marenco: (Novi 1841 – Milano 1907 musicista, famoso per i suoi balletti.
Voglio citare anche Luca Federico Garavaglia, editore, saggista, produttore e compositore, è pronipote di Romualdo Marenco.

Antica Pieve di Novi

Mura e torre del castello

Città della terra cruda

Nella zona di Novi, San Giuliano Nuovo, Pozzolo Formigaro, è nota la presenza delle tradizionali “case di terra cruda” (o “trunere” come vengono chiamate localmente), ancora si ritrovano soprattutto nella piana fuori città. Si tratta di antichi edifici ad uso abitativo o agricolo, costruiti secondo il tradizionale impiego della locale terra argillosa cruda, addizionata talvolta con la paglia. In epoche recenti furono abbattute per far posto a più moderne strutture in muratura, sono ormai considerate un patrimonio della tradizione locale da salvaguardare e recuperare. Novi Ligure fà parte dell'”Associazione Nazionale dei Comuni della Terra Cruda”.

Urbanistica
Prima del parziale abbattimento delle mura erano quattro le porte poste in corrispondenza delle principali direttrici, porta Pozzolo (in direzione di Pozzolo Formigaro da cui si poteva andare ad Alessandria, Acqui Terme e Torino oppure a Tortona, Voghera e quindi a Milano o proseguire per Piacenza, Velleja, Spina ed Aquileja, arrivati a Stazzano si poteva salire e raggiungere la Val Borbera e le Srtette del Pertuso con l’antica strada detta di Annibale.
Da notare che la vecchia strada conduceva da Tortona a Serravalle senza passare per Novi.
Si può giungere a Montebruno situato nell’alta Val Trebbia, dove sorge ancora il ponte dei Doria, un bel santuario ed un interessante museo della civiltà contadina (Montebruno).

Porta dello Zerbo ad est (in direzione Serravalle Scrivia sul tracciato che portava all’antica Libarna, il passo dei Giovi e quindi Genova e porta della Valle (in direzione di Ovada) ad ovest, da quì col passo del Turchino si poteva scendere in Liguria).

Sul finire del XIX secolo, con l’intraprendenza di grandi imprenditori ed industriali locali quali Edilio Raggio e Ambrogio Dellachà, Novi vede espandere la propria importanza con l’arrivo della siderurgia e della ferrovia, diventando uno dei poli della nascente industria italiana. Oltre all’industria dolciaria, che intercettava il cacao diretto a Torino costituendo la “NOVI” (già FICCA Fabbrica Italiana Cioccolato Caramelle Affini), la Pernigotti col suo famoso torrone, la NITENS, una grande fabbrica di lampadine ad incandescenza, le fabbriche di biciclette: Girardengo e Fiorelli. In questo periodo e durante i successivi primi decenni del Novecento nascono i primi quartieri al di fuori dei bastioni, caratterizzati da strade larghe e rettilinee, parallele e perpendicolari tra loro. Lo sviluppo edilizio si arresta solo nei momenti delle due guerre mondiali, per poi riprendere in modo vigoroso durante il periodo del cosiddetto “miracolo economico”.

L’agricoltura estensiva fu, fino alla prima metà del XIX secolo, l’attività economica predominante del territorio novese dove si alternavano campi coltivati a boschi di castagno. Oggi l’area più intensamente coltivata è la porzione pianeggiante del territorio, dove i campi sono prevalentemente dedicati alla produzione cerealicola, in particolare di grano e mais. In tutta la zona collinare prevale la vite. Novi fu sede del prestigioso mulino Moccagatta che moliva il grano di produzione locale.

Lo stabilimento Campari a Novi Ligure

Un insediamento da ricordare è il gruppo Cinzano-Campari, che a Novi possiede il suo principale stabilimento, inaugurato nella primavera del 2004 alle porte della città.

Nel 1996 si è costituito un vero e proprio polo dolciario: il gruppo Elah Dufour, che produce diversi tipi di caramelle e diversi prodotti per la preparazione di gelati e dei dolci è erede della la “Novi,” costituitasi nel 1903 e poi con un nuovo stabilimento negli anni ’30 e oggi importante produttrice di cioccolato a livello internazionale.

La Pernigotti, nata nel 1868 ora di proprietà del gruppo Averna, specializzata nei preparati per gelateria e pasticceria ma famosa per il suo torrone.

Lo stabilimento siderurgico ILVA
Nell’area industriale posta a nord ovest della città si trovano industrie siderurgiche, metallurgiche e meccaniche. la Baglietto, produttrice di acciai navali; l’Ilva, facente parte del Gruppo Riva, erede della vecchia Ferriera specializzata nella realizzazione di laminati piani; la Italcementi con la Cementir; l’industria farmaceutica è presente con la Bioindustria, la cartiera VOSA.

La città è punto di partenza della ex Strada statale 211 della Lomellina, che la collega a Novara. La ex Strada statale 35 bis dei Giovi, che tocca tangenzialmente il centro abitato, e la congiunge ad Alessandria in un verso, e a Serravalle Scrivia dall’altro.

Il museo del Campionissimo

Casa in terra cruda

Torre del Castello e i suoi sotterranei

Le prime notizie certe dell’esistenza del castello e del borgo risalgono alla “Convenienza” del 1135: si tratta di una alleanza con Genova e Pavia, stretta durante le lotte tra i Comuni e l’Imperatore Federico Barbarossa, di cui Pavia era la principale alleata.

Sono molti i personaggi della storia che hanno avuto parte nelle vicende del castello di Novi. Dall’imperatore Ottone II di Sassonia a Filippo Maria Visconti, e poi il Barbarossa e Facino Cane, i Fregoso, animati dalla sete di potere di Madonna Orriga, la terribile castellana che, secondo la leggenda, gettava in un profondo trabocchetto i suoi molti amanti affinché nessuno sapesse della sua dissolutezza.

Dopo la sconfitta dell’imperatore a Legnano, Federico Barbarossa fu costretto a cedere i territori conquistati e Novi che ritornò a Tortona (1192).
Fu proprio per riconfermare il suo potere che Tortona fece costruire la torre nel 1233, dopo aver acquistato il castello e il borgo di Novi dal Marchese del Monferrato per 5700 lire pavesi (lira pavese= 50 gr di argento fino). Costruita con mattoni in argilla, la torre terminava con un aggetto utilizzato come cammino di ronda e dotato di una merlatura ghibellina a coda di rondine.

Il XIV secolo fu un periodo di continui scontri tra Genova e Milano per il possesso di Novi. Circondata dai cosiddetti “Feudi imperiali”, conquistati dalla famiglia genovese degli Spinola, alleati dei Visconti. Novi era ancora dominio dei Marchesi del Monferrato. Nel 1395, Novi fu occupata dai Francesi di Carlo VI: per cacciare i francesi, i novesi si affidarono a Facino Cane, il crudele capitano di ventura, che assaltò e sconfisse le truppe del re nella battaglia della Frascheta, si impadronì del borgo di Novi e sottopose a un duro e lungo assedio la rocca, fino alla resa dei Francesi; Facino Cane restò padrone di Novi fino alla sua morte, avvenuta nel 1442, quando Filippo Maria Visconti si impossessò dei suoi beni.

A Novi furono concessi Statuti propri e il castello fu rafforzato per la difesa: la fortezza era costituita dalla torre e da due caseforti, usate come residenza del castellano e della guarnigione, oltre che come magazzini. Il rivellino, cioè il bastione che proteggeva l’ingresso principale del castello, fu abbattuto e i mattoni utilizzati per ricostruire le mura.

La città fu circondata da altre robuste mura e dotata di quattro porte fornite di ponte levatoio, che venivano chiuse di notte e in caso di attacco. Il fossato asciutto che circondava le mura, largo circa 13 metri, era sormontato a livello del castello da un ponte levatoio di legno sospeso su travature.
Per assicurarsi traffici proficui, Genova investì in opere importanti che modificarono il paesaggio dell’Oltregiogo: nel 1586 fu aperta la strada della Bocchetta e nel 1614 la strada Novi – Gavi, nota come “la Lomellina” dal nome di una località limitrofa dove era l’omonima proprietà agricola dei Raggio di Genova, la località è nota alle popolazioni locali perchè il Raggio fece cintare la sua proprietà da un alto muro lungo decine di chilometri per evitare che gli abitanti andassero a cacciare nei suoi possedimenti. Il popolo dice ancora che la costruzione di questo muro fece la fortuna di molti capomastri locali.

Nel 1612 furono istituite le fiere e Novi divenne un importante centro di scambio, oltre che di merci, anche di denaro.

Con lo spostamento del centro di potere in città, il castello andò in rovina. Durante la guerra di successione austriaca, intorno alla metà del ‘700, a causa del continuo passaggio e insediamento di truppe, sia alleate che nemiche, si resero necessarie opere di rinforzo delle mura e delle porte. Il castello fu più volte bombardato e infine fu completamente smantellato, ad eccezione della torre, con decreto della Repubblica di Genova (1777).

La torre, a base quadrata di circa 7 m per lato e alta circa 27 metri, è tutto ciò che rimane dell’antico castello.
La parte superiore, pesantemente danneggiata durante le battaglie del XVIII secolo, intorno alla metà dell’Ottocento fu abbassata di qualche metro e allo stesso periodo risale la sistemazione della ringhiera di ferro sulla cima.
Nel corso del XIX secolo, Novi diventò un importante centro manifatturiero e nodo ferroviario, le mura della città furono demolite un pezzo alla volta insieme alle quattro porte per fare posto alla ferrovia e ai portici di nuova costruzione.

La collina su cui sorge il castello è attraversata da numerose gallerie e sotterranei alcuni trasformati nel tempo in acquedotto dal 1820.
Si snodano sotto la collina del castello e proseguono in direzione Gavi – Monterotondo, fino a raggiungere una sorgente a cielo aperto che alimentava questo antico acquedotto e che si trovava in strada Monterotondo, nei terreni di pertinenza della Villa Minetta.
Nel corso del Seicento, Novi subì vari assedi, essendo coinvolta nelle guerre di successione austriache: i Savoia, che avevano portato la capitale del loro regno a Torino, ambivano ottenere, anche attraverso il possesso di Novi, uno sbocco al mare con la successiva conquista di Genova.

Carlo Emanuele I si alleò con la Francia e marciò su Genova passando per Novi e occupandola; 400 novesi si radunarono al convento dei Cappuccini ed entrarono nella città assediata attraverso un condotto: il combattimento che seguì fu favorevole ai Novesi e determinò la resa dei Savoiardi. Era il 1625 e le gallerie, evidentemente, esistevano già, avendo permesso l’ingresso in città d 400 soldati.

Lungo la conduttura che collega la sorgente con la cisterna circolare posta, non a caso, proprio sotto la torre medioevale, sono stati rinvenuti dei raccordi di pietra squadrati che servivano a collegare porzioni di tubi di terracotta costituenti le prime condutture per l’acqua: alcuni tratti sono sopravvissuti agli interventi ottocenteschi.

E’ plausibile ipotizzare che si trattasse di una struttura atta a garantire una riserva d’acqua al castello e ai suoi abitanti, specialmente nel periodo in cui la Repubblica di Genova era entrata in possesso di Novi ed aveva molto potenziato il castello e obbligato il signore di Novi, il Doge Campofregoso, ad abitare stabilmente nel maniero.

Madonna Orriga

http://www.inchiostrofresco.it/blog/2014/04/24/novi-ligure-torre-ed-suo-fantasma/

http://fantamimisteri.myblog.it/2007/07/05/il-cavaliere-senza-testa-di-novi-ligure/

E qui si colloca la vicenda di Madonna Orriga, gli abitanti di Novi mal sopportavano la signoria dei Fregoso a loro imposta dai Visconti prima e dalla Repubblica successivamente; essi governavano la città solo nell’interesse personale, sfruttandone abitanti e risorse, imponendo balzelli utili solo al rafforzamento delle prerogative della famiglia.
Ulteriore testimonianza di quanto invisa fosse la famiglia Fregoso ai novesi, è riscontrabile nello sfregio apposto al volto di un’altra Signora della città, Orriga di Campofregoso, ritratta nell’affresco di Manfredino Boxilio che si trova nell’abside sinistra della chiesa della Pieve.
Lo storica prof.ssa Trucco nel suo “Antiche famiglie novesi“ cita questo periodo come gli anni più dolorosi della storia di Novi. qui si collaca anche la vicenda del fantasma del cavaliere senza testa e le leggende dei numerosi amanti della donna fatti sparire in trabocchetti lungo le gallerie del castelo.

Lo stabilimento NOVI in costruzione

Le quattro sorelle Camera nate a Merlassino: Cichinej, Rinetta, la nonna Verginia e Pierina

Gastronomia

La cucina locale si riallaccia a quella ligure ma risente anche di influenze tipicamente piemontesi ed in particolare monferrine.
Di radice genovese sono infatti la farinata e la focaccia mentre di provenienza sabauda sono gli agnolotti e i prodotti a base di carni: Novi Ligure può essere identificata a pieno titolo come crocevia di queste due culture gastronomiche.

Prodotti tipici

I ravioli, a differenza degli agnolotti, contengono un ripieno misto di carne ma ricco di verdure, oppure fatto solo di verdure e formaggio; la tradizione vuole essere nati a Gavi ad opera di un cuoco che si chiamava Raviolo, un cognome ancora diffuso nella zona.

Canestrelli novesi: tipiche ciambelle di pasta dura ma friabile

Ceci di Merella: (frazione di Novi nata su un’antica azienda agricola).

http://www.denominazionicomunali.it/de-co/d.asp?novi-deco

Corzetti: tipici di Varese Ligure (dischi di pasta all’uovo stampati con un apposito stampini di legno intagliato) conditi con vari sughi

Farinata: (focaccina sottile a base di farina di ceci cotta in forno in appositi tegami di rame)

Focaccia novese: “figasa” tipicamente croccante, stirata a mano, lunga e stretta

I gnocchetti di Serravalle: piccoli trucioli da pasta all’uovo (impastata con quattro uova più quattro tuorli per ogni kg di farina) e ottenuti sfregando la pasta tra pollice ed indice, si mangiano in brodo, grasso, di gallina vecchia o cappone.
I bròdis, pecialità proveniente dalle mandrogne della provincia di Alessandria, come i salamini di cavallo, sono detti anche sanguinacci, sono fatti con il sangue del maiale insaccaro in budelli come salamini, con spezie, uvetta e pinoli. Sono cotti stufati e si consumano con la polenta.

Tutti queste specialità ed altre, sono contenute nei miei libri di cucina, vedi il link: i miei libri

Vini: Cortese di Gavi DOCG, Nibiò (nebbiolo) e tutti i vini di tradizione piemontese come il Dolcetto, oltre che al Merlot, Pinot, Cabernet.

Vino di Coronata
La zona di produzione sono le colline omonime della Val Polcevera prospicenti la località Cornigliano alla periferia di Genova, un tempo località prediletta per la villeggiatura dei nobili genovesi e poi devastata dall’industrializzazione. Questo vino sii produce con le uve dei vitigni Bianchetta Genovese, Vermentino, Albarola, Pigato, Rollo e Bosco in purezza o uvaggi diversi; per gustarlo al meglio deve essere consumato entro un anno dalla vendemmia, freddo a 10 °C.

Questo vino bianco è molto noto anche nell’antichità, è citato persino da Stendhal nel suo celeberrimo “Viaggio in Italia”. Nel centro della zona tipica vi è il famoso Santuario della Madonna Incoronata costruito per onorare una statua della Madonna trovata sulla spiaggia di Cornigliano da alcuni pescatori. Pittoresca la leggenda di Paciugo e Paciuga, due personaggi legati al culto della Madonna e raffigurati in due statue all’interno del santuario.

Il dialetto

Il dialetto novese è veramente qualcosa di particolare , ha una base legure – genovese con tendenze piemontesi, ma ha assunto una fisonomia propria sia nel lessico, cadenza, modi di dire.
Ligure – genovese è senz’altro l’intercalare belin che dibenta esclamativo belan! ed anche belinon per caratterizzare un tipo poco affidabie, e abelinò per dire stupido o scemo, per dire “non ti dò niente” si dice at dogù un bel belej.

Il linguaggio è ironico e ricco di aforismi, qualche volta iperboli: per esempio per dire che una ragazza ha le gambe storte si dice “…ug pàsa en can cu na figasa in buca” = ci passa (fra le gambe) un cane con una focaccia in bocca.
Per dire che per qualcuno non c’è più niente da fare, per salute o disgrazie, si dice”ug’ l’hà in te’cù c’mè e ciarabèle (ce l’ha nel sedere come le lucciole (la luce)).

Per dire che ha preso un pugno in faccia si dice: “l’ha picò na faciò contra na man grupia” = ha picchiato la faccia contro una mano rinchiusa.

Andare a dormire si dice: Andemu a pusò l’uregia.

É molto diffuso l’uso di soprannomi o contrazioni dei nomi propri: ad esempio mio zio Riccardo era detto Rissa in ragione della sua estesa calvizie, Ràinsu: per Lorenzo, Ciàinsu: per Vincenzo, Cichinej per Francesca e poi Lino, Turi, Gian, Pùciu, Pùni; era molto noto un personaggio caratteristico chiamato: Scursalètj di professione tosacani, deriso per la sua accentuata balbuzie o il Punta la cui caratteristica era di “puntare” le donne, senza peraltro infastidirle minimamente.
Mio zio per ironizzare sul dialetto novese citava un modo di dire;”..a Nêuve i fan balò i bibeini in ti na ture d’magouni” = .. a Novi fanno ballare i tacchini in una torre di mattoni. Il detto si riferisce ad un barbaro gioco a cui si dedicavano sadici ragazzi o uomini che consisteva nel far scaldare su di un fuoco una lamiera opportunamente recintata, e di porvi sopra dei tacchini che bruciandosi i piedi saltellavano o “ballavano” suscitando l’ilarità degli inqualificabili spettatori.
C’è da sperare che sia solo una leggenda …….

A Natale i ragazzi cantavano: “…. a Natòle mangemu e bibeji, figassa duse puciò in t’e vei = …a Natale mangiamo il tacchino e focaccia dolce pucciata nel vino.

Tquino di Novi pubblicato dall’Unione Commercianti e dalla Croce Rossa

Paesaggio delle terre di Novi con i suoi vigneti

Articoli correlati

Rivalta Scrivia

Rivalta Scrivia

Oramala

Oramala

La Valle dello Scrivia

La Valle dello Scrivia

Salice Terme

Salice Terme