
Sant’Alberto di Butrio
Sant’Alberto di Butrio e lo scomparso castello di Butrio
La costruzione venne iniziata dallo stesso Sant’Alberto, forse del casato dei Malaspina, che venne ad abitare in solitudine nella vicina valletta del Borrione, ove tuttora vi è una piccola cappelletta a Lui dedicata. Questo avvenne nel 1030. Alberto aveva guarito miracolosamente un figlioletto muto del marchese di Casasco (Malaspina), questi in segno di riconoscenza gli edificò una chiesa (in stile romanico) dedicata alla Madonna in cui Sant’Alberto ed i suoi seguaci eremiti potessero celebrare i divini uffizi.
Costituiti in comunità, gli eremiti edificarono il monastero di cui rimane attualmente un’ala: il cosiddetto chiostrino ed il pozzo. A capo della comunità, cioè abate, venne eletto Sant’Alberto, che rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1073. Nel frattempo l’Eremo, alle dirette dipendenze del Papa, era assurto a grande potenza sia spirituale che temporale. Molte erano le celle e le dipendenze dell’eremo, situate nelle attuali provincie di Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova.
Dopo la morte di Sant’Alberto, l’Eremo crebbe ancora in potenza e numero di monaci tanto da divenire un centro spirituale di una vastissima zona. Ospitò illustri personaggi ecclesiastici e laici. Si crede vi abbiano soggiornato anche Federico Barbarossa e Dante Alighieri.
Veduta dell’ingresso
Il chiostro interno
Verso la metà del XV secolo, con l’avvento degli abati commendatari, l’Eremo incominciò il periodo di decadenza.
Nel 1543 gli ultimi monaci lasciarono l’Eremo per trasferirsi altrove. Vi rimase solo un sacerdote addetto alla cura delle anime. Nel l595 la chiesa di Sant’Alberto fu eretta a parrocchia. Seguirono tre secoli di quasi abbandono totale, durante i quali il monastero e parte della torre andarono diroccati.
Con l’avvento delle leggi napoleoniche, nel 1810, l’Eremo fu soppresso e requisito dal governo. Il complesso del fabbricato dell’Eremo si compone della chiesa parrocchiale di Santa Maria, che è quella originaria edificata da Sant’Alberto e di tre oratori adiacenti e comunicanti: quello di Sant’Antonio di forma trapezoidale, situato appena dentro la porta d’ingresso, tutto affrescato. Segue la cappella del SS.mo che si identifica come navata di sinistra per chi guarda l’altare e infine la chiesa di Sant’Alberto sulla destra sempre per chi guarda l’altare.
Sotto un certo aspetto è quest’ultima la più importante, perché in essa vi fu seplto Sant’Alberto dopo la morte, perché vi si conservano tuttora le sue due tombe e le sue ossa e infine perché in essa sono stati eseguiti i più pregevoli affreschi dell’Eremo. La più antica di queste chiese è quella di Santa Maria, edificata da Sant’Alberto con l’aiuto del Marchese Malaspina, verso l’anno 1050. Segue quella intitolata a Sant’Alberto sorta prima della sua morte o subito dopo.
Contemporanea a questa dovrebbe essere quella chiamata recentemente Cappella del Santissimo. Nel 1300 sorse poi la chiesetta di Sant’Antonio forse al posto di una tettoia o pronao. Così pure, nel 1300, nel periodo di maggior potenza e fulgore dell’Eremo, venne costruita la torre ora mozza.
Tutti gli affreschi sono del 1484 non recano firma. Fino a tempi recenti furono attribuiti alla scuola dei fratelli Manfredino e Francischino Baxilio di Castelnuovo Scrivia. Ora vi è la tendenza di attribuirli ad un monaco pittore che per umiltà ha voluto conservare l’anonimato. Si suppone che molti affreschi, specialmente nella chiesa di Santa Maria, siano andati perduti nel corso dei secoli per insulsi restauri.
Dopo tre secoli (1600-1900) di quasi totale abbandono, la cura dell’Eremo fu affidata a don Orione nel 1900, anno in cui avvenne la riesumazione dei resti mortali di Sant’Alberto, deposti poi entro una statua di cera che si può vedere nella chiesa di Sant’Alberto.
Nel 1921 don Orione ripopolò l’Eremo collocandovi gli eremiti da lui stesso fondati nel 1899 e con loro anche un sacerdote in qualità di parroco.
Questi sono ancora presenti in questo Eremo e conducono una vita di francescana semplicità e preghiera. Tra di essi ebbe una certa rinomanza un frate cieco, chiamato Frate Ave Maria, che visse in questo luogo per circa quarant’anni dal 1923 al 1964 conducendo una vita straordinaria per santità, preghiera e penitenza. Nato a Pogli di Ortovero (Savona), nel 1900, a dodici anni perdette la vista per una fucilata sparatagli al volto. Ventenne fu accolto da don Orione nei suoi istituti e inviato dopo due anni qui all’Eremo dove crebbe in fama di santità e dove tanta gente accorreva a lui per vederlo e per udirlo.
Si spense piamente all’ospedale di Voghera il 21 gennaio 1964. La sua salma riposa in una piccola cripta dell’Eremo è meta di pellegrini e di devoti che amano pregarlo e raccomandarsi a lui. Attualmente è venerabile e si attende la sua beatificazione.
Affresca dell’abazzia
La salma di Sant’Alberto
Affreschi della cappella
Affreschi della chiesa
Particolare di un affresco
Il castello di Butrio
Molti castelli della nostra collina sono stati distrutti dall’abbandono secolare citiamo ad esempio la “Corte Verde”, i castelli di Cecima, di Canneto, di Pizzocorno, di Butrio, ma quanti altri nessuno lo sa con certezza nè sono note le ubicazioni precise.
Altri, come quelli di Oramala, di Montù Berchielli e di Zavattarello, rimasti a lungo abbandonati o caduti in rovina, sono stati recuperati grazie a dispendiosi restauri.
Nelle alte vallate si favoleggia persino di intere città scomparse, risalenti ai Romani o alle invasioni saracene, prima dell’anno Mille. Su queste montagne, non meno che nella Scozia, in Irlanda, nella valle del Reno o nella Transilvania, la vita feudale e i rapporti di vassallaggio e di servitù erano duri e richiedevano sedi sicure.
Menestrelli e trovatori si arrampicavano verso i castelli della montagna, veri e propri “nidi d’aquila” arroccati in siti quasi inaccessibili.
Il Castello di Butrio apparteneva ai Malaspina di Oramala e sorgeva sulla cima allungata dello spartiacque tra la valle del Torrente Nizza (a nord) e quella profondamente scavata nei calcari dal Torrente Begna (a sud), proprio di fronte all’Eremo di Sant’Alberto, nella località oggi indicata nelle carte topografiche come “Monte di Valle Grande”.
Il conte Cavagna Sangiuliani, alla pag. 40 del vol. III dell’Agro Vogherese, nel parlare dell’Abbazia di Sant’Alberto, afferma: “…resta situata al sud-est, in faccia all’antico e diruto castello di Butrio, posto sopra un altissimo scoglio calcareo, separata dal piccolo ma vertiginoso torrente Bigna (Begna)”. A pag. 108, lo stesso autore menziona l’atto di vendita della “villa” e del castello di Pizzocorno, fatto il 4 ottobre 1158 dal Marchese Obizzone Malaspina a favore dell’Abate di Sant’Alberto.
Col possesso dei due castelli (e di quello di Casarasco, posto sotto Butrio, sul versante del torrente Nizza), la valle del Begna e di Butrio costituiva sito fortemente protetto. Non sappiamo quando il Castello di Butrio sia stato distrutto, ma si può supporre che esso e la sua vallata, con le grotte scavate nella falesia calcarea, possano essere stati uno degli ultimi rifugi di Càtari provenienti dalla Provenza.
Il percorso per raggiungere il sito del Castello di Butrio è bene indicato sulle carte regionali ed è ancora possibile vedere le tracce dei suoi muri sulla cima del monte. L’altura di Sant’Alberto di Butrio domina il fondo della valletta da circa 200 m di dislivello, mentre la posizione dell’antico castello di Butrio è quasi 300 m al di sopra del fondo. Pertanto, i cento metri del canyon roccioso occupano soltanto la metà più profonda della valletta. Al di sopra, il profilo della valle si apre a “V”, e non è escluso che tra la copertura boschiva si trovino nascoste grotte naturali (simili a quella – oggi scomparsa – in cui tradizionalmente trovò rifugio l’eremita Sant’Alberto).
Prof. Arc. Alberto Arecchi: http://www.liutprand.it/articoliPavia.asp?id=
http://www.duepassinelmistero.com/Castello%20scomp.htm
Il primo sacello del re Edoardo II
La targa che ricorda la prima sepoltura del re
La tomba di Edoardo II re d’inghilterra
Presso l’eremo di sant’Alberto di Butrio si trovano le tracce di un sacello, una tomba: scavata nella roccia presunto luogo ove fu seppellito il re inglese Edoardo II.
La personalità di Edoardo II, nato il 25 aprile 1284 nel Castello di Caernarfon, è descritta nel film Braveheart del 1995 con la regia di Mel Gibson che è anche il protagonista, narra della guerra tra inglesi e scozzesi condotta dal padre Edoardo I Plantageneto.
Edoardo I dei Plantageneti, re d’Inghilterra fu crociato, dominatore della Scozia e conquistatore del Galles. Egli divenne perciò il primo Principe inglese del Galles. Fu il fondatore della celebre Università di Oxford. Le sue vicende s’intrecciano con quelle della fine dei Templari: quando, nell’ottobre 1307 il re francese Filippo il Bello iniziò la persecuzione dell’Ordine cavalleresco.
Nel gennaio 1308, sposò Isabella, figlia di Filippo il Bello. Ordinò l’arresto dei Templari sui propri territori. Fu poi deposto nel 1327.
A differenza del padre Edoardo II era uomo debole ed effeminato, succube dell’amico conte Peter Gavaston; fu osteggiato dalla nobiltà e dal clero, travolto dagli scandali.
La moglie Isabella di Francia lo tradiva con Lord Roger Mortimer. Secondo le cronache inglesi il re viene fatto imprigionare e fatto decapitare nel castello di Berkley nel 1327. La moglie lo abbandonò e tornò in Francia, portando con sé il giovanissimo figlio che diverrà il re Edoardo III.
Il primo autore italiano che fece ricerche sul caso di Edoardo II presso l’eremo è Costantino Nigra, a cavallo tra ‘800 e ‘900, successivamente anche la studiosa Anna Benedetti e più recentemente il prof. Arch. Arecchi (vedi sito).
Nel 1877 lo studioso Alessandro German pubblica una lettera, che rivela la fuga del re dal carcere iniziando un lungo pellegrinaggio in centro Europa per arrivare nel nord Italia e morire presso il castello di Cecima (poco distante dall’eremo di sant’Alberto) dopo aver lì vissuto da eremita per due anni.
Don Sparpaglione, illustre storico locale, nei suoi numerosi scritti sull’Oltre Po ricorda che un anziano del luogo asseriva che il nonno gli raccontava di un re inglese rifugiato presso l’eremo.
Il notaio Manuele Fieschi dimostra di essere a conoscenza della storia inglese, il fratellastro di Edoardo II verrà ucciso perchè continua a sostenere che il fratellastro è ancora in vita.
Alcune canzoni popolari gallesi raccontano di come il re sia fuggito, inoltre un cugino è Percivalle Fieschi vescovo della diocesi di Tortona che avrebbe potuto favorire il nascondiglio del re in questi luoghi.
Secondo Sparpaglione si è fatta confusione con Sigismondo, altro personaggio di cavaliere pellegrino.
Il luogo in cui risulta ufficialmente sepolto Edoardo II è la Cattedrale di Gloucester nel Regno Unito dove il figlioEdoardo III eresse a suo padre un mausoleo, nell’abbazia che è una delle più insigni opere dell’arte gotica normanna.
Il figlio Edoardo III punì esemplarmente i traditori. Lord Mortimer fu trascinato a coda di cavallo e messo a morte, la regina Isabella fu risparmiata solo per intercessione di Papa Giovanni XXII, ma relegata a vita nel castello di Rising.
La tradizione che vuole Edoardo II morto penitente a Sant’Alberto di Butrio sembrerebbe una leggenda priva di fondamento. Tuttavia la storia ufficiale fu scritta vent’anni dopo i fatti, e le cronache inglesi sugli ultimi giorni del disgraziato re Edoardo II sono le più diverse dapprima fuggito dal carcere poi ripreso, parlano di tentativi armati di liberarlo e di suoi partigiani messi a morte. Moltissimi in Inghilterra, dopo il 1327, affermarono che Edoardo II non era morto ma faceva vita di penitente, e questo motivo del re penitente fu uno dei temi più in voga della poesia popolare del tempo fino a farlo ritenere un santo.
Nel 1877 un professore dell’Università di Montpellier, Alexandre Germain, trovò la copia di un documento latino senza data, ma con la firma di Emanuele Del Fiesco, notaio pontificio e poi vescovo di Vercelli tra il 1343 e il 1348, in cui, sotto forma di lettera diretta ad Edoardo III, venivano spiegati con una precisa narrazione, i fatti contenuti nella tradizione che vogliono Edoardo II fuggito di prigione e dedito a vita di penitenza.
Il re fuggitivo andò prima in Normandia e di là in Linguadoca, ad Avignone, il Papa.. Giovanni XXII lo chiamò presso di sé, poi andò a Parigi, quindi nel Brabante e di là a Colonia per venerare le reliquie dei tre Re Magi. Da Colonia, attraverso la Germania, si recò in Lombardia a Milano, e da quì si ritirò in un romitorio del castello di Melazzo (presso Acqui) dove stette due anni e mezzo. Infine presso il castello di Cecima, in un altro romitorio della diocesi di Pavia, ivi è rimasto per circa due anni, sempre recluso, facendo penitenza e pregando Dio.
L’autore del documento, Emanuele Del Fiesco, era cugino del vescovo di Tortona del tempo, stretto parente dei Malaspina,signori della regione e quindi protettori dell’abbazia di Sant’Alberto, inoltre canonico di York, buon conoscitore dell’Inghilterra. Potrebbe avere appreso tali vicende dallo stesso Edoardo II.
Il porticato dove si trova il sacello era un ripostiglio e legnaia. Negli archivi delle chiese locali, ricche di documenti e pergamene antiche, non esiste un solo documento databile a quel periodo. La tomba, lunga due metri, larga ottanta centimetri e profonda sessanta, reca le tracce dei colpi dello scalpello, nel 1923 dei contadini tolsero la pietra di chiusura, fu trovata nell’interno la calotta di un cranio che fu trasportata nell’antico cimitero.
La Martinella nel campanile di Sant’Alberto
Sul campanile dell’abbazia di Sant’alberto di Buttrio risuona la Martinella, la campana che posta sul Carroccio, chiamava a raccolta i cittadini durante la battaglia di Legnano.
Lo storico Fabrizio Bernini ha ben documentato questo fatto ricostruendo l’itinerario della Campana costodita dal marchese Obizzo Malaspina nel suo castello di Zucchi in Val di nizza e poi a Sant’Alberto.
Il Castello Zucchi esisteva sul monte Succo vicino a Sant’Alberto di Butrio dominando la valle. Più piccolo di Oramala, ma non solamente una torre di avvistamento.
Obizzo Malaspina dopo essersi alleato con la Lega Lombarda nel 1168 diventa custode della Martinella in seguito trasportata al castello di Zucchi.
Nel 1275 il castello non viene più nominato tra i possedimenti dei Malaspina.
Nel manoscritto di don Paolo Cassola di S.Alberto, il castello di Zucchi è rappresentato nell’affresco della cappella di Sant’Antonio a Sant’Alberto di Butrio ed era collegato con gli altri castelli dai sotterranei, per altri studiosi l’affresco rappresenta Oramala.
Del castello di Zucchi restano tracce nascoste, il materiale di cui era costruito è stato disperso o riutilizzato.
Un interssante blog http://theauramalaproject.wordpress.com/ descrive un progetto di TELS sulle ricerche sulla sorte di Edoardo II e il coordinatore Ivan Fowler ha scritto un libro intitolato “Auramala – il re è vivo” edito da Il mondo di TELS. Vedi Oramala.
http://users.libero.it/gfuria/pontenizza/martinella.htm
Frate Avemaria che a lungo soggiornò a Sant’alberto in odore di santità e Don Orione, affezzionato visitatore dell’abbazia