I Celti

I Celti

Gli antenati del celti, sono definiti dagli studiosi “Indoeuropei” accumunati da una comune lingua e provenienti dall’Asia Minore, giunsero nel nostro continente a ondate successive tra il 3.500, e forse anche prima e il 1.500 a.C. dalle regioni centrali dell’Asia attraverso il Medio Oriente.

Dagli Indoeuropei derivano anche le popolazioni germaniche, baltiche, greche, venete e italiche, accomunate ancora oggi da forti analogie linguistiche.

Vinceslas Kruta, direttore di studi di protostoria d’Europa presso l’école Pratique des Hautes études, Sciences Historiques et Philologiques della Sorbona di Parigi così definisce i Celti.

Con il nome di Celti si intende un insieme di popoli che nel corso del primo millennio a.C. occuparono il cuore dell’Europa, spingendosi tra il V e il IV sec. a.C. nelle isole britanniche, nelle regioni centro settentrionali dell’Italia, nei Balcani e perfino in Asia Minore, portando i loro eserciti in tutti i paesi del Mediterraneo, anche come mercenari, affermando l’immagine di un popolo di grandi guerrieri.

I Celti erano già presenti dal XII sec. a.C., a nord del fiume Padus (Po), si insediano le tribù celtiche degli Insubri, considerati eredi diretti dei precedenti Celti che avevano inglobato la civiltà di Golasecca, qui fondano Mediolanium (Milano), facendone la loro capitale.

Elmo celtico

Organizzati in tribù più o meno numerose, questi popoli non raggiunsero mai una vera unità politica, anzi erano spesso in lotta tra loro e questo gli impedì di creare un unico grande “impero celtico”.

Accomunati da affinità linguistiche, culturali e religiose erano noti presso i greci come Keltoi e Galati, mentre presso i latini come Galli e Celtae, Cesare aprendo il De Bello Gallico, fa del termine Galli il sinonimo di Celti.

qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur
nella loro lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli” e poi ancora sempre nel “De Bello Gallico” (Liber I – I – La Gallia) che a scuola abbiamo tradotto:
Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt Gallos.

“La Gallia nel suo complesso è divisa in tre parti: una è abitata dai Belgi, una dagli Aquitani, la terza da quelli che nella loro lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli.

Publio Cornelio Tacito parla dei Celti (56/57 – ca. 117 d.C.): Combatterono disunitiE li unì la sorte della sconfitta.Se fossero stati inseparabili,

sarebbero stati insuperabili.

L’ORIGINE INDOEUROPEA

La parola Celti ha origine dal greco keltai che gli abitanti di Marsiglia, città fondata dai Focesi, attribuirono ai membri delle limitrogfe e bellicose tribù che popolavano le terre circostanti.

Il termine Celti compare per la prima volta negli scritti del geografo greco Ecateo nel 500 a.C. egli parla di “Nirax, una città celtica” e di “Massalia (Marsiglia), città della Liguria nella terra dei Celti” (Fragmenta Historicorum Graecorum).

Anche Erodoto e Aristotele citavano i celti che avevano conquistato Roma e che tenevano in grande considerazione la potenza militare. Anche Ellanico di Mitilene, storico del V sec. a. C. e Di Eforo (350 a.C.) citano i Celti.

LA CULTURA DI GOLASECCA

Di origine celtica è il popolo detto della cultura di Golasecca risalente all’età del ferro, antecedente alla storica invasione del IV secolo a.C.

Le sue origini risalgono alla seconda metà del II millennio all’interno della cultura locale dell’età del bronzo. Il territorio su cui si estendeva la popolazione golasecchiana era molto ampio, anche se non uniforme, comprendeva le pianure tra i fiumi Sesia ed Olio estendendosi a nord fino alle pianure ed i contrafforti alpini a sud dei passi che conducono verso le vallate superiori del Rodano e del Reno. Già dal XII sec. a.C. nel Canton Ticino e nelle regioni nord occidentali dell’Italia (Piemonte e Lombardia) si sviluppa una cultura detta di Golasecca, che discende direttamente dalla cultura dei campi di urne.

Queste genti parlano una lingua celtica, detta Leponzio, ai leponzi è attribuita la più antica iscrizione in lingua celtica (Iscrizione di Prestino VI sec. a.C.) di tutta l’Europa.

LA CULTURA DI HALLSTATT VIII sec. A.C.

Prende il nome dalla località Austriaca di Hallstatt, dove sono state scavate più di mille tombe, riferite a comunità che gravitavano intorno alle miniere di sale, materia prima di importanza strategica per la conservazione del cibo.

Questa fase della storia dei celti, a partire circa dall’VIII sec. a.C. rappresenta un momento di grande splendore, caratterizzato dall’affermarsi di una classe aristocratica principesca, la cui ricchezza è testimoniata dalle fastose sepolture a tumulo, e dai preziosi corredi, costituiti da manufatti del miglior artigianato locale o importati dal mondo mediterraneo.

Sono proprio i commerci, con la colonia greca di Massalia (Marsiglia), e quelli attraverso le Alpi con la penisola Italiana, che uniti l’abilità degli artigiani celti nella lavorazione del ferro (soprattutto armi, tale da assicurare il predominio sulle popolazioni concorrenti), che rappresentano la base della ricchezza e del benessere che caratterizza questa fase.

LA CULTURA DI LA TENE

Il massimo momento di splendore si registra a partire dal VI sec. a.C. ed è identificato dalla fase culturale detta Lateniana (dal sito archelogico svizzero di La Tene), caratterizzata da un artigianato di altissimo livello.

LE TRIBU’ CELTICHE

Oltre agli Insubri si citano i Cenomani che occupano l’area sud occidentale del Veneto, ad essi è attribuita la fondazione di Brixia (Brescia).

Tra il V e il IV sec. a.C. Anari, Boi, Lingoni e Senoni, calano nel territorio italiano con pesanti migrazioni, attratti dalla disponibilità di terre ricche e fertili da coltivare.

Si scontrano per primi con gli Etruschi, insediandosi nei territori della Pianura Padana, a sud del Po e segnando l’inizio del crollo dell’egemonia etrusca che durava da secoli.

Secondo Plinio [Naturalis Historia, III, 115] centododici tribù di Galli Boi si stanziano nella zona emiliana a sud del Po, fino alla Romagna e al delta del fiume, che viene occupato dai Galli Lingoni.

Nel 386 a.C. guidati da Brenno, i Galli Senoni, giungono fino a Roma, e dopo aver sgominato l’esercito romano sul fiume Allia, assediano e saccheggiano la città per mesi lasciandola solo dopo il pagamento di un riscatto in oro.

Lungo la Costa Adriatica il domino dei Galli Senoni si estende in Umbria e nelle Marche, un tempo territorio di Umbri e Piceni, la città di Senigallia porta nel nome il ricordo di un passato celtico, Sena Gallica, città dei Galli Senoni.
Ad Ancona importante scalo commerciale, sotto il controllo dei Tiranni di Siracusa, si imbarcavano mercenari celti impiegati contro i Greci nel bacino del Mar Adriatico, anche in funzione antiromana.

Sono di origine celtica alcuni nomi di città: Belluno   (BL) Belunum, Belo-DunumBobbio   (PC) BobiumBologna   (BO) BononiaBrescello  (RE) BrixellumBrescia   (BS)   Brixia, Brica, BrigaCesena   (FC)   Caesena, SenaComo   (CO) ComunLecco   (LC)   Leucum, Lech, LochLomello   (PV)   Lamellum, Laevum MellumMilano   (MI) Mediolanum, Medhelan, MediolanionNovara   (NO) NovariaRecco   (GE) Ricina, RecinaSenigallia   (AN) Sena GallicaTorino   (TO) Augusta Julia Taurinorum, TaurasiaTreviso   (TV) TarvisiumVercelli   (VC)   Vercellae  Vergellae

Autori classici, greci o latini ci hanno lasciato informazioni utili allo studio delle popolazioni antiche: ricordiamo Cesare, Varrone, Columella, Plinio, Marziale, ed in particolare, perchè originari della Gallia Cisalpina, Virgilio, Catullo, Plubio.

Maria Luisa Porzio Gernia in: “Gli elementi celtici del latino” elenca oltre cento lemmi latini passati poi all’italiano, di sicura (o molto probabile) ascendenza gallica, attestati nelle fonti classiche. baciare – basiare – basium (in Catullo)braghe – bracae – braca (in Lucillo) probabilmente di origine germanica, poi passata nel celticocamicia – camisa carro – carruspaiolo – parium (recipiente)sapone – sapo – saponis (in Marziale e Plinio) Anche nei dialetti è possibile trovare molte radici celtiche.

Sono stati probabilmente i Barbari a chiamare per primi Oltre Po; le terre che incontrarono oltre il fiume Po scendendo da Nord. Abitato da Liguri e Galli, l’Oltre Po; passa sotto la dominazione romana dopo la famosa battaglia di Clastidium (Casteggio). vedi battaglia d Clastidium.

Con i Romani il territorio ha un grande sviluppo, grazie anche alla costruzione delle principali vie di comunicazioni. A quell’epoca, come risulta dalle cronache di Plinio il Vecchio, la viticoltura si praticava con grande successo, e come racconta Columella si bevevano buoni vini.

Celebri sono gli aneddoti dei fatti collegati alle lotte fra barbari ed antichi romani prima dell’impero.

Brenno, la battaglia di Chiusi e il saccheggio celtico di Roma.

Da tempo nella pianura padana si erano venute ad insediare popolazioni celtiche provenienti da oltralpe: Salassi, Insubri, Cenomani, Lepontini, Lingoni, Boi e Senoni, che per i romani erano tutti “Galli”. Si erano, tra l’altro, fuse con le popolazioni celtiche autoctone, dell’area di Golasecca (con cui avevano radici lontane, nelle genti della cultura protogolasecchiana di Canegrate, quindi molto prima del 1000 a.C.).

Narra Livio che i Celti, invasero la città lasciata vuota dagli abitanti videro solo i sacerdoti rimasti, questi strani figùri furono scambiati per delle statue e ne ebbero timore. Uno dei guerrieri per verificare se fossero vivi, tirò ad uno di essi la barba: questo reagì colpendolo alla testa con un bastone, scatenando la reazione dei Celti. I patrizi furono massacrati tutti. Brenno decise poi di attaccare la rocca del Campidoglio.

Era il 18 luglio del 387 a.C. (o 390 a.C. secondo altri).

Nell’attacco al Campidoglio si realizzò, secondo la tradizione, il primo degli episodi leggendari (probabilmente inventati di sana pianta in epoca posteriore) con i quali i romani cercavano probabilmente di compensare la forte umiliazione subita.

Secondo questa leggenda, i galli di Brenno avevano scoperto un cunicolo sotterraneo che arrivava all’interno della rocca capitolina e durante una notte lo utilizzarono per espugnare l’ultimo baluardo difensivo di Roma. Ma il tentativo di intrusione, fu sventato dalle oche sacre a Giunone, che spaventate cominciarono a starnazzare, svegliando il comandante della guarnigione, l’ex console Marco Manlio, il quale si oppose con decisione ai primi invasori, respingendoli.

In virtù di questo episodio, Marco Manlio, venne chiamato Capitolino.

Intanto i Galli cominciavano a subire le prime sconfitte: un loro campo, venne distrutto da un esercito composto da cittadini di Ardea e guidato da Furio Camillo, il comandante romano che, dopo aver conquistato Veio, era stato esiliato a causa delle sue posizioni eccessivamente antiplebee.

Brenno cominciava ad essere stanco di Roma, quello che c’era da razziare, l’aveva già razziato, il Campidoglio si dimostrava inespugnabile, e gli episodi di resistenza aumentavano. Così propose ai magistrati romani di riscattare la città: gli invasori galli avrebbero abbandonato Roma in cambio di mille libbre d’oro.
Mentre l’oro veniva pesato, i Romani iniziarono a mettere in giro la voce che i Celti stessero usando pesi falsi per imbrogliarli.  Alle proteste dei magistrati, Brenno, con arroganza e determinazione sovrana, rispose gettando la sua spada sulla bilancia, pretendendo in questo modo un’ulteriore quantità di oro, e contemporaneamente urlando in un latino stentato: “Vae Victis” (guai ai vinti).

Secondo una tradizione assai tarda e fin troppo fantasiosa, il secondo episodio leggendario: mentre i romani chiedevano tempo per procurarsi l’oro che mancava, Camillo (che secondo alcuni studiosi era già deceduto da tempo) raggiunse Roma con un nuovo esercito e trovandosi di fronte Brenno gli mostrò la sua spada e gli urlò in faccia:
Non auro, sed ferro, recuperanda est patria” (non con l’oro, ma con il ferro, si riscatta la patria).

Fu così che (racconta la versione poco attendibile di Tito Livio) l’esercito romano si scagliò contro l’invasore, costringendolo alla fuga. Furio Camillo (che forse era già deceduto da tempo) seguì i galli per un tratto, sconfiggendoli a più riprese, per poi tornare a Roma, dove ricevette un grande trionfo.

Fu proprio lui ad avviare la rifondazione della città: Roma era stata ferita gravemente, ma non era ancora morta e dopo pochi anni avrebbe ripreso il suo processo di grande espansione.
In realtà Camillo (se si vuol seguire Tito Livio) fu nominato dittatore e cercò di rimettere insieme i cocci di quello che era rimasto, pregando i suoi concittadini di non abbandonare la devastata Roma per l’ancora intatta, e da poco conquistata, Veio.

I Galli Lingoni

Quello dei Lingoni, che sembrerebbe significare “i Saltellanti“, è il nome di un popolo Celtico originario della Gallia Transalpina, stanziato tra i fiumi Senna e Marna (Francia).
Durante la migrazione storica del IV secolo a.C. che portò decine di tribù galliche a trasferirsi in quella zona dell’Italia settentrionale che gli storici chiamano Gallia Cisalpina, i Lingoni si stanziarono nei pressi della foce del fiume Po all’epoca popolata dagli Etruschi. (Necropoli di Spina)

Strabone (58 a.C. – 25 d.C.) geografo greco che ha vissuto molti anni a Roma, descrive le Gallie nel volume IV della sua opera De Geografia e così parla delle terre di origine dei Lingoni.

Presso i Sequani si eleva il Monte Giura, che costituisce la frontiera tra loro gli Elvezi. Dopo gli Elvezi e i Sequani vengono ad ovest gli Edui e i Lingoni, poi i Mediomatrici , i Leuci e un cantone dei Lingoni.

Strabone, Le Gallie, Vol. IV del De Geografia.

I Boi e i Lingoni, passando attraverso le Alpi Pennine, quando già il territorio fra il Po e le Alpi era tutto occupato, varcano il Po con zattere e cacciano via dalla regione non solo gli Etruschi ma anche gli Umbri, rimanendo tuttavia al di là degli Appennini. E finalmente i Senoni, ultimi immigrati, occupano il territorio dal fiume Utente fino all’Esino (Tito Livio, Ab Urbe condita, V, 35).

Circa nel 350 a.C. (ma la datazione è incerta e controversa) nel Periplo di Scilace, si legge che tra il territorio degli Etruschi di Spina e quello venetico di Adria vi era un tratto di costa controllato dai Celti, forse proprio dei Lingoni.

L’invasione dell’Italia non fu un avvenimento traumatico, repentino e inatteso, ma fu preceduta da due secoli di contatti che sembrano pacifici e che contribuirono allo sviluppo economico dell’Etruria padana.

L’evoluzione dell’arte celtica indica inoltre “che i contatti diretti dei Celti con l’ambiente greco-etrusco influenzarono profondamente anche la cultura dei popoli transalpini”.
Kruta sottolineando come “appare evidente oggi che i Celti apportarono un contributo fondamentale alla formazione dell’Europa”: “la loro eredità non è percettibile solo nell’ambito delle tecniche artigianali ed agricole, ma nella toponimia, nelle mentalità e nei costumi – alcune feste attuali, come quella del primo novembre, sono ancora quelle del calendario gallico”.

La prima celtizzazione autoctona del Nord Italia.

E’ rinvenuta la più antica testimonianza di una lingua celtica in Europa: da un corredo funebre del secondo quarto del VI secolo a.C., individuato nei pressi di Castelletto Ticino, rileviamo infatti il famoso genitivo gallico in alfabeto etrusco-capenate Xosoio, graffito su vaso. Dal testo emergono i continui riferimenti allo scambio culturale, etnico e commerciale con le popolazioni alpine, tra cui i Camuni, e transalpine che vede un intreccio di relazioni fortissimo tra gli antenati di quelli che saranno i futuri popoli del Centro Europa.

Va sottolineata la notevole capacità di sopravvivenza delle popolazioni celtiche anche in aree molto lontane dalle Alpi, come nel caso della popolazione celtica dei Senoni (stanziati tra i fiumi che Tito Livio indica come Utente e Aesim, tra Ravenna e Ancona), stanziatasi nelle attuali Marche superiori e duramente colpiti dalla politica di sterminio attuata dai Romani.

Un passo delle “Historie Phillippicae” di Pompeo Trogo ricorda l’alleanza militare offerta dai Galli, dopo la conquista di Roma, a Dionisio I il Vecchio, Tiranno di Siracusa. Tutto lascia credere che sia stata conclusa e l’emporio siracusano di Ancona, a diretto contatto con i Senoni, sia stato senza dubbio uno dei principali punti di reclutamento di truppe celtiche. Questi mercenari combatterono per Dionisio non solo nel sud della penisola, ma addirittura in Grecia. Senofonte le menziona nel 367 a.C. a fianco di mercenari iberici, nel corpo di spedizione siracusano impiegato contro i Tebani”.

Alle vestigia archeologiche si aggiungono le scoperte di diversi testi – purtroppo brevi e poco vari – scritti dai Celti antichi nella loro lingua utilizzando diversi tipi di alfabeti di origine meditterranea. Questi testi, oltre a fornire materia per lo studio delle lingue celtiche antiche, costituiscono una prova irrefutabile dell’estensione delle popolazioni “celtofone”.

Vuole la tradizione che questo popolo, attratto dalla dolcezza dei prodotti e soprattutto del vino, che a quel tempo costituiva per loro un nuovo piacere, abbia attraversato le Alpi e si sia impadronito delle terre precedentemente abitate dagli Etruschi. Un tale

Arrunte di Chiusichi sarebbe stato il primo a mandare il vino del luogo in Gallia dove fu molto apprezzato. Marco Manlio Capitolino, paradossalmente, passato dalla parte della plebe, venne  accusato di tradimento dai patrizi e gettato dalla rupe Tarpea (che pure aveva coraggiosamente difeso).Gli venne imputatata sopratutto l’attività di difesa intransigente dei diritti della plebe, oppressa dallo strapotere dei patrizi,e pagò con la vita il suo atteggiamento politicamente rivoluzionario.

Nel l 223 a.C. vi fu dapprima una pace separata fra i Romani e i Galli Anari del Parmense, dopo di che il console Caio Flaminio attraversò il Parmigiano per portare guerra ai Celti Insubri fondatori di Milano.

I Romani entrarono nel territorio degli Insubri presso la confluenza dell’Adda col Po, si allearono coi Cenomani e iniziano a devastare i villaggi della pianura. Gli Insubri scesero in campo con 50.000 uomini, ma, dopo una prima vittoria, vengono sconfitti al fiume Klousios dal console Flaminio.

Nel 222 a.C., in primavera, i Romani invadono nuovamente il territorio degli Insubri ed assediano Acherra (Pizzighettone), alla confluenza fra Adda e Serio. Gli insubri invadono il territorio degli Anari, sotto controllo romano, e assediano Casteggio, Clastidium, sulla riva del Po.

Il console Marcello riesce infine a sbaragliare l’armata celtica per poi riunirsi al collega Cornelio Scipione e riprendere l’assedio ad Acherra-Acerrae. Gli Insubri, coadiuvati dai Gesati della valle del Rodano guidati dal re Virdomaro (o Britomarto), si apprestano a respingere l’attacco romano. I consoli Gneo Cornelio Scipione e M. Claudio Marcello avanzano verso l’Adda e assediano Acerrae (Pizzighettone) per entrare nel territorio insubre.

Eliminato, con un’improvvisa diversione, l’esercito dei Gesati (a seguito dell’uccisione del loro Re, in duello, da parte di Claudio Marcello, che consacrerà le terze spoglie opime al Tempio di Giove Feretrio, in Roma, dove la lapide dei fasti trionfali ne registrano il trionfo come avvenuto su galli insubri e germani (la più antica menzione di questo popolo), la guerra si sposta a Milano, che viene occupata dai Romani – secondo alcuni storici guidati da Scipione, per la leggenda locale dal console Marcello.

Per la prima volta i romani entrano a Milano.

L’arrivo dell’esercito di Annibale, che dopo aver attraversato le Alpi giunge nella pianura padana, spinge alla rivolta Boi e Insubri, che riescono così a liberarsi del dominio romano. Gli Insubri, insieme ad altri celti cisalpini, si arruolano nell’esercito di Annibale.

La battaglia del Lago Trasimeno del 21 giugno del 218 a.C. vide lo schieramento cartaginese, con gli alleati, i celti cisalpini, travolgere le legioni romane, che subirono una disastrosa sconfitta. L’evento che segnò il destino della battaglia fu l’uccisione del console Gaio Flaminio da parte di un nobile insubre, il cavaliere Ducarios, la cui vicenda, invero eroica (visto il gran numero di romani che difendeva il proprio console), è tramandata con una certa ricchezza di dettaglia da Tito Livio.

Moneta celtica Institute of Archaeology, Oxford. Cartaginesi e celto-liguri guidati dal fratello di Annibale si scontrano non lontano da Milano con i romani guidati da P. Quintilio Varo e M. Cornelio Cetego, venendone sconfitto.

Nel 200 a.C. i Celti, tra cui gli Insubri, oltre a Boi e Liguri, guidati dal cartaginese Amilcare, che era rimasto in Cisalpina dalla seconda guerra punica, attaccarono Piacenza colonia romana distruggendola; la battaglia definitiva ebbe luogo a Cremona, con 35.000 Celti uccisi e catturati, dai romani guidati dal pretore L. Furio Purpurione.

Nel 197 a.C. Romani e Insubri, dopo che questi ultimi sono stati sconfitti sul terreno militare (con l’uccisione del generale cartaginese Amilcare che li guidava), sottoscrivono un foedus aequum , col quale la capitale insubre rimane autonoma, ma perde il predominio sui Celti della Padania e s’impegna a fornire aiuti militari.

Molti centri che avevano seguito gli Insubri si arresero ai Romani. Il trionfo del console C. Cornelio Cetego comprendeva, oltre agli Insubri e ai Cenomani prigionieri, anche un corteo di coloni cremonesi e piacentini fatti prigionieri e liberati.

Nel 196 a.C. il console M. Claudio Marcello, figlio del vincitore di Clastidium, portò l’attacco in territorio insubre, dirigendosi verso Como, dove gli Insubri avevano posto il loro quartier generale. Como, già dopo pochi giorni, si arrese ai Romani con 28 castella.

Nel 194 a.C. gli irriducibili Boi incitarono alla ribellione gli Insubri, ma nel 195 a.C. furono battuti vicino a Mediolanum dal proconsole Lucio Valerio Flacco. Fu la fine della confederazione celtica: gli Insubri e i Cenomani abbandonano i Boi e strinsero un foedus con Roma, che permise loro di mantenere una certa autonomia.

La Transpadania subì un lento processo di romanizzazione, che non si affermò nel modo violento con qui si sviluppò nelle Marche, contro i Senoni, e in Emilia, contro i Boi, ma fu piuttosto “una lenta penetrazione pacifica di modelli culturali ed economici che modificò sostanzialmente la società indigena” (Tolfo).

Nel 385 a.C. gli Insubri (i celti che avevano come loro capitale Milano) si alleano con Velletri, Tivoli e con Dionigi di Siracusa contro Roma.

Nel 225 a.C. una coalizione di Galli (Insubri, Boi, Taurisci e i Gesati transalpini) viene sconfitta a Talamone dai Romani guidati dal console Emilio Papo.

Polibio riporta che in occasione di questa guerra gli Insubri trassero le loro insegne, dette inamovibili, da un tempio dedicato alla loro dea (equiparata dai Romani a Minerva-Atena, ovvero la luminosa e bianca dea celtica Belisama).

Secondo la tradizione milanese il tempio era ubicato sul luogo ove successivamente venne edificata la basilica di S. Tecla in piazza Duomo: Tuttavia la ricerca archeologica ha evidenziato la presenza di un fossato difensivo intorno a un edificio in via Moneta datato IV sec. a.C.: questo fa pensare ad un importante luogo sacro, rimasto fortificato fino alla seconda metà del II sec. a.C., che secondo alcuni sarebbe proprio il Tempio di Belisama.

Catalogo della mostra “I Celti”  a cura di Sabatino Moscati – palazzo Grassi – Venezia 1991- editore Bompiani

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