
I Liguri
I primi insediamenti sono stati trovati al castelliere del Guardamonte in località Gremiasco di San Sebastiano Curone, le tracce di una capanna paleolitica a Cecima in val Staffora, e in altre località, i ritrovamenti a Rivanazzano fanno pensare a popolazioni risalenti alle popolazioni Liguri in particolare alla tribu degli Aramari poi celtizzati dall’arrivo dei Celti.
I Liguri
I liguri sono popolazioni del primo millennio avanti Cristo le cui tracce sono note nella ziona vicino al confine francese di Ventimiglia, sui Balzi Rossi e nelle spiagge delle Arene Candide presso Finale Ligure.
I Liguri (in greco Λιγυες, ovvero Ligues e in latino Ligures) erano un’antica popolazione che ha dato il suo nome all’odierna regione della Liguria, attestata intorno al 2000 a.C. nel nord Italia e nella Francia meridionale (i due estremi tradizionali della cultura ligure vengono solitamente posti alle foci del Rodano fino alle foci dell’Arno).
Fino al II millennio a.C. si pensava che i Liguri occupassero ampi territori dell’Italia nord-occidentale ed anche nord-orientale (Cultura di Polada, Euganei) per poi essere ristretti nei loro confini storici dal sopraggiungere di nuove ondate di popoli Indoeuropei (proto-Italici, Venetici e proto-Celti).
I Liguri abitavano nell’attuale Liguria, nella Toscana settentrionale, nel Piemonte, in parte della Lombardia (occidentale e meridionale) in parte dell’Emilia-Romagna (province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena), ed in parti del sud-est della Francia. Va citata anche la popolazione forse di ceppo ligure dei Còrsi che popolava la Corsica e il nord-est Sardegna nel II e I millennio a.C.
L’avanzare dei Celti nel Nord Italia durante il VI-V secolo a.C. e le conquiste dei Romani nel III-II secolo a.C. spinsero i Liguri ad arroccarsi in zone montane dell’Appennino e lungo le coste del Mar Ligure.
Secondo una visione invasionista tradizionale sarebbero un popolo pre-indoeuropeo analogo agli Iberi. Secondo una visione più continuista, rappresenterebbero il ramo più settentrionale di uno strato indoeuropeo diffuso nel II millennio a.C. in tutta l’area tirrenica, fino all’Italia meridionale e alla Sicilia. Per i Liguri del I millennio a.C. sono state rilevate affinità con gli Italici e soprattutto con i Celti, tali da far ipotizzare uno strato Celto-Ligure conseguente alle migrazioni dei Celti in Italia[. È anche ipotizzata una parentela fra i Liguri ed i Lepontini.
La fonte più antica che cita i Liguri è rappresentata da una discussa versione di un frammento di Esiodo (fine VIII-inizi VII secolo a.C.), riportato da Strabone che cita i Liguri (o Libi, Libui ed anche Libici) insieme agli Etiopi e agli Sciti, come i più antichi abitanti dell’Occidente: “Etiopi, Liguri e Sciti allevatori di cavalli”.
La leggenda narra che che da Noè, profugo salvatosi dal diluvio sul monte Ararat in Armenia, discesero Sem, Cam e Jafet. Il figlio di Cam, Fetonte, ebbe Ligure, il quale sbarcato in Italia diede il nome alla regione che da lui prese il nome.
Il figlio di Ligure, Cidno, lasciando la regione e risalendo l’appeninno fondò varie città tra cui Bergamo e Brescia, che da lui prese il nome di Cidnea. Ancor oggi il monte alle spalle di Brescia porta il suo nome: Cidno.
Il Periplo di Scilace, una descrizione delle coste del Mediterraneo e del Mar Nero redatta tra il VI e il IV secolo a.C., riporta la presenza dei Liguri mescolati agli Iberi tra i Pirenei e il fiume Rodano e dei “Liguri veri e propri” sulle coste tra il Rodano e il fiume Arno.
Tucidide riferisce come i Sicani si sarebbero stabiliti in Sicilia scacciati dai Liguri dal loro territorio originario presso il fiume Sicano nella penisola Iberica.
Lo storico greco del I secolo Plutarco riferisce che davano a loro stessi il nome di Ambrones, lo stesso di una delle tribù alleate con i Teutoni.
Erodoto elencando i popoli che presero parte alla spedizione di Serse contro i Greci, enumera i Liguri insieme ai Paflagoni e ai Siri, comandati da Gobria, figlio di Dario e di Artistone e di nuovo li cita tra i componenti dell’esercito radunato dal tiranno Terillo di Imera e comandato dal cartaginese Amilcare, figlio di Annone e che fu sconfitto da Gelone di Agrigento e Terone di Siracusa.
Diversi autori (Diodoro Siculo, Virgilio, Livio, Cicerone) riportano come i Liguri ancora nel II secolo a.C. vivessero in condizioni primitive e ci consegnano l’immagine di un popolo semiselvaggio, ferino, i cui guerrieri incutono timore solo con il loro aspetto. Nel contempo vengono però sottolineate le qualità di solidarietà ed onestà di una popolazione agricola e pastorale non ancora divisa in classi e in cui le donne affrontano le stesse fatiche degli uomini in una terra definita sassosa, sterile, aspra o coperta di alberi da abbattere.
Sempre a favore di un’origine pre-indoeuropea furono, secondo Henri d’Arbois de Jubainville, storico francese ottocentesco, che sostenne come i Liguri, insieme agli Iberi, costituissero i resti della popolazione autoctona che si era diffusa nell’Europa occidentale con la cultura della ceramica cardiale e Arturo Issel, geologo e paleontologo genovese, li considerò diretti discendenti dell’Uomo di Cro-Magnon, e diffusi a partire dal mesolitico in tutta la Gallia.
Nelle grotte dei Balzi Rossi presso Ventimiglia sono stati trovati 7 scheletri dell’uomo di Cro-Magnon analoghi a quelli trovati in Dordogna.
Covenzionalmente e tradizionalmente gli Antichi Liguri vengono ritenuti un gruppo di popoli di lingua inizialmente non indoeuropea (pre-indeuropei), provenienti dalla Penisola iberica e stanziatisi in epoca Preistorica in Linguadoca e nell’Italia Nord-occidentale.
Fondendosi progressivamente con elementi Indoeuropei divennero essi stessi Proto-Indoeuropei, parlanti un miscuglio delle due lingue, durante il Neolitico; Indoeuropei, parlanti un lingua ancora non specializzatasi nei vari dialetti, tra il 3000 ed il 2000 a.C.; Proto-celti, parlanti una forma arcaica di celta con influssi antico-liguri, tra il 2000 ed il 1000 a.C. ed, infine, Celti o celtizzati, con la fusione e scomparsa delle reminiscenze linguistiche liguri, dal 1000 a.C. in poi.
I Romani chiamavano ‘Liguri dai capelli lunghi’ (Ligures comati) quei popoli Liguri stanziati nelle zone più montuose della Liguria e dell’Appennino tosco-emiliano. Nelle Alpi Marittime molte tribù che si manterranno a lungo ostili ai Romani continuano ancora a chiamarsi a questo mondo (Ligures capillati) al tempo di Augusto.
In epoca romana la Liguria presenta per lo meno cinque strati ben identificati: latino, gallico, lepontico, antico europeo e pre-indoeuropeo.
I Liguri si raggruppavano tribù (o pagu) di cui si conoscono i nomi:
Gli Apuani, che si stabilirono nelle montagne della Lunigiana (attuali province della Garfagnana Massa Carrara e La Spezia) e della Versilia (provincia di Lucca)
I Tigulli, insediati nella riviera di levante fino a Framura
I Friniati, insediati all’interno, nell’Appennino, tra le attuali province di Parma (valli del Parma e dell’Enza), Reggio Emilia, Modena (una vasta zona dell’Appennino modenese è denominata Frignano pare proprio dal nome della tribù Ligure dei Friniati) e Pistoia
I Veleiati, anche detti Eleati o Celeiati, insediati all’interno, sul territorio che attualmente comprende le provincie di Piacenza e Parma (centro principale in età romana: il Municipio di Velleia)
I Genuati, insediati nella zona di Genova
Gli Ilvati, abitanti originariamente nell’isola d’Elba ma poi ritiratisi nell’Appennino
I Veituri, (suddivisi nelle sottotribù degli Utrines, Sestrines, Mentovines e dei Langenses), insediati nell’attuale ponente genovese ed in Val Polcevera, dove nel 1506 fu rinvenuta la nota Tavola Bronzea di Polcevera, redatta a Roma nel 117 a.C.
Gli Statielli, insediati nell’odierna provincia di Alessandria nel territorio di Acqui, nelle valli delle due Bormide e degli affluenti Orba e Belbo
Dectunini, insediati nel tortonese e nel novese
I Sabazi, insediati nel Savonese
Gli Ingauni, insediati nel territorio di Albenga
I Bagienni (o Vegenni) e gli Epanteri, insediati nell’alta valle del Tanaro e poi trasferitisi in val Trebbia a Bobbio (sede del pagus omonimo) sotto il municipio di Velleia (centro principale in età romana: Augusta Bagiennorum – ora Bene Vagienna)
Gli Intemeli, insediati nella Riviera di Ponente, nei pressi di Ventimiglia (Albium Intemelium I Levi e i Marici, insediati nella zona attorno al Po (province di Pavia e Alessandria)
I Segobrigi, abitanti della Provenza e protagonisti della leggenda greca di Massalia
Gli Ambroni, che sono nominati come una delle tribù primigenie nella battaglia di Aquae Sextiae (102 a.C.) e citati nella Vita di Mario.
Nellla prima parte del ibro sulla storia di Valenza gli autori fanno una interessante analisi delle tribù liguri che popolavano il territorio a nord della odierna Liguria fino alla pianura.
Pietro Repossi e Livio Pivano “Memorie sturiche della città di Valenza” – Carlo Giordano editore, 1964 Valenza
Vengono citati gli Apuani dlla Val di Magra, gli Ingauni o Intamelli della riviera di Ponente, Vagienni o Bagienni tra il Po e il Tanaro che fondarono Augusta Begenniorum presso Saluzzo, Stazielli nel bacino del Bormida e dell’agro alessandrino, Taurini lungo il Piemontese
Della lingua parlata si conoscono solo toponimi e antroponimi, terminanti con suffisso in -asca o in -asco. (Godiasco, Gremiasco ecc.)
Si tratta di una lingua probabilmente pre-indoeuropea con influenze celtiche (gallico) e latine.
Secondo il linguista Xavier Delamarre sarebbe una lingua celtica simile al gallico.
Il toponimo ligure Genua (odierna Genova, situata vicino alla foce di un fiume), sostiene Delamarre, deriva dal PIE (Proto Indo Europeo) *genu-, “mascella”. Molte lingue indoeuropee usano il termine “bocca” per indicare la foce di un fiume, ma solo in goidelico il PIE *genu- significa “bocca”.
Oltre a Genua, che è considerata ligure, questo termine si trova anche in Genava (moderna Ginevra), che potrebbe essere gallica.
Genua e Genava potrebbero derivare da un’altra radice PIE con la forma *genu-, che significa “ginocchio” (così in Pokorny).
Il secondo punto di Delamarre si basa sulla menzione che Plutarco fa (nella Vita di Mario 10, 5-6) di un fatto avvenuto durante la battaglia di Aquae Sextiae nel 102 a.C., quando gli Ambroni (che potrebbero essere stati una tribù celtica) iniziarono ad urlare “Ambrones!” come loro grido di battaglia; le truppe liguri alleate dei Romani, a sentire questo grido, trovarono che era identico a un antico nome del loro paese che i Liguri spesso usavano parlando della loro discendenza (outôs kata genos onomazousi Ligues), così gridarono a loro volta, “Ambrones”.
Strabone d’altra parte dice: «In quanto alle Alpi… molti popoli (éthnê) occupano queste montagne, tutti celti (Keltikà) tranne i Liguri; ma sebbene questi Liguri appartengano a un popolo differente (hetero-ethneis), essi sono simili ai Celti nel loro modo di vivere (bíois).»
Erodoto scrive che Sigynnai significa “venditori ambulanti” tra i Liguri che vivevano intorno a Massalia (odierna Marsiglia), parola che ricorda quella dei Sequani, popolazione celto-gallica che all’epoca di Cesare era situata nella Franca Contea e nella Borgogna, 450 km a nord di Marsiglia. Inoltre Erodoto ricorda un popolo dei Sigynnai, stanziato lungo il Danubio.
I Liguri erano adoratori di divinità animiste e guidati da sciamani (o druvid), principalmente erano devoti al dio Belanu, dio della luce (da Bel = luce), per il quale si eseguivano sacrifici e riti collegati ai solstizi e perciò ai cicli solari dell’anno. Un altro nume di rilievo era Cicnu (il cigno), che rappresenta forse la divinizzazione di un mitico re antico.
La sepoltura, come ritrovato in una tomba a Chiavari (Genova), era approntata in un carro da battaglia nel quale venivano riposte le armi ed il corpo del defunto, che poi venivano interrati in un sepolcro-tumulo. Esemplificativi ne sono i reperti di carro funebre conservati nella collezione privata Bocconi.
La natura ed i boschi erano considerati i luoghi magici per eccellenza, e per questo sacri e rispettati; così le cerimonie ed i riti sciamanici venivano ufficiati nei boschi in siti occultati dalla vegetazione preparati ad hoc con menhir particolari.
Queste particolari pietre oblunghe conficcate nel terreno dei boschi terminavano con teste umane, probabilmente rappresentavano la nascita dal grembo materno e simboleggiavano la provenienza della loro razza scaturita direttamente dal grembo della terra e della natura.
Le teste, così tanto rappresentate, per i Liguri erano la sede dell’anima il centro delle emozioni ed il punto del corpo dove erano concentrati tutti i sensi, di conseguenza l’essenza del divino e da qui il suo culto.
I Liguri erano dediti all’agricoltura, alla metallurgia, al commercio, alla caccia, alla predoneria e ad altre attività produttive. I Liguri abitavano in borghi formati da capanne sparse, preferibilmente a “mezza costa” di pendii montagnosi per sfruttare la posizione elevata ma potendosi meglio organizzare a procacciare cibo che non sulle vette appenniniche o alpine. (vedi il Guardamonte di Gremiasco).
Diodoro Siculo riferisce che erano dei navigatori: «Navigano per cagione di negozi pel mare di Sardegna e di Libia, esponendosi a pericoli estremi; si servono a ciò di schafi più piccoli delle barchette volgari; né sono pratici del comodo di altre navi; e ciò che fa meraviglia, si è che non temono di sostenere i rischi gravissimi delle tempeste».
Divisi in tre caste principali (la milizia, gli sciamani e la popolazione produttiva) erano raggruppati in tribù urbanizzate (pagu) collegate tra loro da legami di parentele e condotte ciascuna da un re (rix). I Liguri possedevano uno spiccato spirito egualitario e, a parte il condottiero, la restante popolazione non si poneva in contrasto con differenze di privilegi.
Il senso dell’ospitalità era sacro, da come raccontano nell’epopea di Massalia i Greci nell’invito che il re Ligure Nanno rivolge ai nuovi venuti i Focesi, Simos e Protis.
Si presentavano in battaglia seminudi o nudi per mostrarsi il più possibile allo stato animale selvaggio e per incutere timore ai Romani con i loro corpi robusti; si mostravano dipinti su tutto il corpo, portavano lunghe chiome impastate e rese rigide con argilla e gesso e acconciate a guisa di criniera di cavallo; spesso tutto ciò che indossavano era un paio di calzari di cuoio ed un cinturone per fermare un mantello.
Erano armati con lunghe lance, dette bug, uno scudo bislungo, una spada spesso scadente perché fatta con metallo dolce e raramente con arco e frecce che venivano considerate disonorevoli perché poco adatte allo scontro fisico faccia a faccia.
Attaccavano con fanti e su carri corazzati ma alcune tribù avevano carpito l’uso delle armi romane adattandosi a queste con nuove tecniche belliche.
Nella particolareggiata leggenda di Massalia (Marsiglia), si racconta come i primi coloni Focesi provenienti da Efeso, incontrando il sovrano ligure Nannu sarebbero stati invitati in una lingua incomprensibile a partecipare ad un banchetto al quale a loro insaputa la figlia del re, Gyptis avrebbe scelto il suo sposo tra gli astanti. Gyptis espresse la sua preferenza per Protis, generando la comunione tra i popoli. La terra su cui avrebbero edificato la loro città, infatti, sarebbe stata proprio Massalia.
Tra il V ed il IV secolo a.C. furono frequenti i contatti commerciali con Etruschi, Cartaginesi, Campani e principalmente con i Greci Ateniesi e Massalioti, ma nessuno di questi popoli subentrò mai ai Liguri.
Genova, abitata dai Liguri Genuati, era considerata dai Greci, dato il suo forte carattere commerciale, “l’emporio dei Liguri”: legname per la costruzione navale, bestiame, pelli, miele, tessuti erano alcuni dei prodotti Liguri di scambio commerciale.
Erano noti il lino robusto coltivato nella Gallia Cisalpina così come i cereali, le lane particolarmente candide come pure le lane di Pollenzo note per il loro naturale colore nero.
A Genova il nucleo urbano del Castello iniziò, per i fiorenti commerci, ad ampliarsi verso l’odierna Prè (la zona dei prati) e verso il Rivo Torbido.
Lo scontro con i Romani (238–14 a.C.)
Nel III secolo a.C. i Liguri si scontrarono con l’espansionismo dei Romani provenienti da sud. Lo scontro tra i due popoli fu lungo e sanguinoso.
Le ostilità furono aperte nel 238 a.C. da una coalizione di Liguri e di Galli Boi, ma i due popoli si trovarono ben presto in disaccordo e la campagna militare si arrestò con lo sciogliersi dell’alleanza.
Durante la seconda guerra punica i Liguri fornirono soldati, esploratori e guide alle truppe di Annibale al momento di varcare gli Appennini. I liguri speravano infatti che il generale cartaginese li liberasse dal vicino romano.
I Liguri parteciparono alla battaglia del Trebbia, in cui i cartaginesi ottennero la vittoria. Altri Liguri si arruolarono nell’esercito di Asdrubale quando questi calò in Italia nel 207 a.C. nel tentativo di ricongiungersi con la truppa del fratello Annibale.
Nel porto di Savo (l’attuale Savona) allora capitale dei Liguri Sabazi, trovarono riparo le navi triremi della flotta cartaginese del generale Magone Barca, fratello di Annibale, destinate a tagliare le rotte commerciali romane nel mar Tirreno.
I Liguri si divisero comunque tra alleati di Cartagine e alleati di Roma. Fu quando i Romani conquistarono questo territorio, con l’aiuto dei loro federati Genuates, che l’attuale regione della Liguria, corrispondente alla IX Regio dell’Impero romano, la quale si estendeva dalle Alpi Marittime e Cozie, al Po, al Trebbia e al Magra, prese il nome con cui è ancora oggi chiamata.
Con la definitiva sconfitta di Annibale a Zama nel 203 a.C. i Romani ripresero la campagna contro i Liguri. Questa seconda fase di scontro si concretizzò in una lunghissima campagna militare che durò dal 197 a.C. al 155 a.C. Storicamente l’inizio della campagna viene datato al 193 a.C. per iniziativa dei conciliabula (federazioni) dei Liguri, che organizzano una grande scorreria spingendosi fino alla riva destra del fiume Arno.
In realtà i Romani avevano inizato alcune limitate operazioni militari lungo l’appennino già negli anni precedenti (vedi ad esempio le operazioni del console Minucio Rufo del 197 a.C. a Casteggio).
Nel corso di tutta la guerra i Romani vantarono 15 trionfi e almeno una grave sconfitta. Nel 186 a.C. i Romani vennero battuti dai Liguri nella valle del Magra; nella battaglia, che avvenne in un luogo stretto e scosceso, i Romani persero circa 4000 soldati, tre insegne d’aquila della seconda legione e undici vessilli degli alleati latini. Inoltre, nello scontro rimase ucciso anche il console Quinto Marzio.
Si pensa che il luogo della battaglia e della morte del console abbia dato origine al toponimo di Marciaso o a quello del Canale del marzo sul Monte Caprione nel comune di Lerici e vicino ai ruderi della città di Luni, poi fondata dai Romani.
Questo monte aveva un’importanza strategica perché da esso si controllava la valle del Magra ed il mare.
Nel 180 a.C. i Romani, per poter disporre della Liguria nella loro conquista della Gallia, dovettero deportare 47.000 Liguri Apuani, confinandoli nell’area Sannitica.
Nel 180 a.C. i proconsoli Romani Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Tanfilo inflissero una gravissima sconfitta ai Liguri (soprattutto ai Liguri Apuani, irriducibili ribelli), e ne deportarono ben 40.000 nelle regioni del Sannio (compresa tra Avellino e Benevento). A questa deportazione ne seguì un’altra di 7.000 Liguri nel corso dell’anno successivo.
I Liguri furono le guide di Annibale sull’Appennino: come gli Allobrogi dovettero accoglierlo con ogni onore. Il condottiero punico era palesemente l’unico in grado di opporsi all’arroganza romana, con il suo grande esercito e i trentasette elefanti, che avevano superato indenni le nevi alpine. I grandi animali esotici dovettero sembrare ai montanari macchine da guerra terribili, indici di un potere quasi divino; li videro poi morire di stenti quasi tutti prima della battaglia del Trebbia.
Anche i Boi, gli Insubri e gli Allobrogi fornirono esploratori e truppe ad Annibale, partecipando al secondo scontro fra Romani e Cartaginesi, quello sul fiume Trebbia. Nell’accanita lotta lungo le rive della Trebbia, Annibale seppe trovare un nuovo, feroce alleato locale.
Insubri e Boi chiesero aiuto ai Gesati o Gessati, tribù feroce noti per l’uso di una pesante ascia falciata (a forma di mezzaluna) detta gaesa, che usavano anche come lancia.
Aveva scelto con cura le posizioni sulle quali attestarsi, narra Polibio, studiando la natura dei luoghi della riva sinistra del fiume, dopo aver disceso i sentieri che i Liguri gli avevano mostrato; il campo romano, dove Scipione giaceva ferito nella sua tenda, stava sull’altra riva.
Prima dell’alba nutrì abbondantemente uomini e cavalli e li fece riscaldare intorno a grandi fuochi; ai soldati fornì olio di oliva, perchè si ungessero il corpo e lo proteggessero dal nevischio che cadeva a raffiche, poi cercò lungo il corso del fiume un luogo dove riparare una parte delle sue truppe ed attaccò i Romani, provocandoli a tal punto che essi uscirono digiuni nel freddo del mattino.
Fingendo di ritirarsi li spinse a guadare il fiume e il nuovo alleato colpì, col gelo delle sue acque, placide solo in apparenza. I legionari semiassiderati che uscirono dal Trebbia combatterono con valore, ma alla fine degli scontri, dopo che Annibale aveva messo in campo le truppe nascoste all’alba lungo la riva. Il Trebbia era gonfio di corpi e di scudi. Silio Italico dice anche che gli stessi Cartaginesi erano a tal punto tormentati dal freddo “che sentirono appena la letizia della vittoria”.
Augusto fece ripristinare la via che collegava il porto di Vado con Aquae Statiellae (Acqui Terme) e Derthona (Tortona), attraverso la valle Bormida, e quella che dalla costa risaliva la valle del Tanaro, verso Pollentium (Pollenzo presso Bra) e Alba Pompeia (Alba).
Le vie romane diedero una svolta decisiva alla vita economico – culturale della Liguria incentivando la crescita delle città costiere, che divennero centri portuali e commerciali sempre più fiorenti. Dall’Appennino prese il via un flusso migratorio diretto alle città litoranee quali Genua, da un lato, o ai grandi centri della pianura come Derthona e Vicus Iriae (Voghera).
Tavola del Polcevera 117 a. C.
È costituita da una sottile lamina di bronzo dello spessore di 0,2 cm, alta 38 cm e larga 48 cm. Sulla lamina, che si presenta in buono stato di conservazione, è incisa un’iscrizione in latino disposta su 46 righe, contenente la sentenza che due magistrati romani, i fratelli Minuci Rufi (i cui nomi sono ben visibili in alto nel testo dell’iscrizione), pronunciarono nel 117 a.C. su una questione di confini che divideva i Genuates, gli abitanti di Genova, e i Viturii Langenses, che abitavano nell’alta Val Polcevera. Dal nome dei due estensori la sentenza è nota anche come Sententia Minuciorum.
Tavola del Polcevera
A quell’epoca Genova, città alleata dei Romani, godeva di una preminenza sulle popolazioni dell’entroterra, che oltre a disporre di un proprio territorio (ager privatus), possedevano e coltivavano terreni facenti parte del cosiddetto ager publicus. Il contenzioso era stato originato dal fatto che i Viturii intendevano consolidare ed ampliare e la loro presenza su quest’ultimo, contrastati dai Genuates.
E’ nota anche una tribù Cavaturina a Gavi da Gavium in Val Lemme.
Bibl.:
Enzo Bernardini – La preistoria in Liguria -1977 Sagep Editrice – Genova
Le statue stele in Lunigiama II sec. A.C.
Il fenomeno delle statue stele, con periodi di maggiore intensità e altri di interruzione, copre un lunghissimo arco di tempo dal III al I millennio a.C.
Sono state rinvenute casualmente e in epoche assai disparate al di fuori dei contesti originari, oggi sono custodite presso i museo archeologico di Pontremali.
Studiando soprattutto la tipologia degli elementi raffigurati sulle statue stele, armi e monili, si è individuato un arco cronologico che va dall’inizio dell’Eneolitico (fine IV millennio a.C.), fino alla piena eta’ del Ferro (VII-VI sec. a.C.). Vedi anche la pagina degli Etruschi.
In Lunigiana sono state rinvenute fino ad oggi circa 80 statue stele, che in base alla loro forma sono state classificate in tre gruppi distinti: A, B, C.
A partire dal gruppo A, più antico, fino al gruppo C, più recente, si può notare una graduale evoluzione, nel senso di un sempre maggiore realismo nella rappresentazione della figura umana. Fanno parte del patrimonio culturale di un tribù di Liguri che deve essere ancora studiata con cura.
Da notare che statue stele sono note in Val d’Aosta, in Svizzera e nella Daunia queste ultime visibili nel Museo di Manfredonia.
Oltre al museo di Pontremoli reperti importanti sono al museo di Luni, a quello di Imperia, a Ventimiglia e la museo del Finale a Final Borgo. In questi musei sono conservati reperti proveniente dalle grotte dei Balzi Rossi e delle Arene Candide presso Finale.
Queste grotte sono coeve (Paleolitico superiore) a quelle notissime di Altamira in Spagna.
Il più importante insediamento Ligure in Oltre Po, ancora oggi oggetto di studio, è quello del Castelliere del Guardamonte di Gremiasco sopra a San Sebastiano Curone.