
Tortona
Ricostruzione del Sacro Graal
Tortona ebbe vita fiorente fino al tardo impero, la città si estendeva nella parte settentrionale della città odierna, tra Porta Voghera e Piazza del Duomo, era dotata di un arx superior fortificata sulla collina ed era ricca di edifici pubblici (portico, foro, teatro, terme, biblioteca) e di templi.
La Santa Coppa di Cristo fu custodita in Tortona dal 410 fino certamente all’epoca di Federico II. La storia di questo meraviglioso tesoro materiale-spirituale segue le linee invisibili della storia.
Nascosta in Gerusalemme ne uscì portata da Giuseppe d’Erimatea per essere custodita nella Chiesa di Efeso e nelle sette Chiese d’Asia sotto la vigilanza di S. Giovanni. Passò anche in Armenia per poi tornare in Gerusalemme quando non ci fu più alcun pericolo per i cristiani. Fu sepolta vicino al Santo Sepolcro e lì ritrovata dall’Imperatrice Elena e portata a Roma. Era custodita nel palazzo imperiale del Palatino. Durante l’apostasia dell’Imperatore Giuliano fu trafugata e messa sotto la custodia della Chiesa nel Santa sanctorum del Laterano.
Una delle proprietà della Coppa era ispirare la visione del futuro e aiutare i cristiani a sfuggire alle persecuzioni. La Coppa stessa si difende dalle violenze e dalle profanazioni: possiede il potere di apparire e scomparire quando non vi sono custodi umani degni.
L’Imperatore Maiorano fu ucciso a Tortona in rapporto con la sacra coppa, della quale per primo ne volle, ideò e preparò la custodia in Dertona. In ogni luogo ove passò ne fu fatta un’imitazione onorevole che ne esprimeva un tratto spirituale e simbolico. Fu anche a Valencia in Spagna, ove è conservata una sua sacra imitazione, e pure a Genova dove si può vedere nel museo della cattedrale di San Lorenzo e chiamato “sacro catino“. http://www.fabiolottero.it/SacroCatino.html
Il Sacro catino conservato a Genova nella Cattedrale di San Lorenzo
Nel 410 mentre i barbari stavano per invadere Roma, fu fatta fuggire a bordo di una nave guidata da ufficiali romani scelti e fedeli che la portarono a Genova e attraverso gli apennini liguri a Tortona, nelle segrete del castrum terdonensis. Da allora Genova iniziò ad essere soprannominata “Ianua” perché per essa passò la Coppa rivelando i suoi misteri e prodigi, e da allora Dertona fu chiamata Terdona per la presenza di tale tesoro.
Fu scelta Tortona perchè era ancora un baluardo di romanità intatta ed invitta in un mare di caos e contaminazione barbarica e pagana, perché il suo castello era munitissimo e difficilmente prendibile e non era ancora stato conquistato né profanato dai nemici, perché era chiamata “piccola Roma” per i suoi sette colli, e possedeva la stemma del leone derivante dalle legioni romane che sempre vi stanziarono, perché era la più antica colonia romana del nord, perché era città non appariscente e non opulenta ma solamente militare e famosa per la sua fedeltà a Roma.
Il nome celtico non fu alterato da Roma ma perpetuato: un segno di grande rispetto e in pochi anni dalla colonizzazione romana era già “città insigne”. Il suo nome celtico “Derton” (luogo alto/luogo forte) da cui la fedele latinizzazione “Dertona”, fu reinterpretato profeticamente come “Terdona“, cioè “la città dei tre doni”, la città degna di ospitare il più grande tesoro-reliquia del Dio trinitario, il calice che conteneva il triplice dono: l’oro dell’amore e della regalità del Suo sangue, l’incenso della sacralità e della sua funzione propiziatoria e rituale, e la mirra dell’immortalità dello Spirito e del Corpo di Cristo e delle Sue reliquie.
Una città che era stata fondata dai romani tre volte (sotto il Senato, sotto Cesare, e sotto Augusto) quale fedele modello di Roma era quella adatta per ricevere il segno della nuova sovranità universale della trinità. I tre doni potevano anche essere: la Santa Coppa, la Croce di Cristo e un’altra Reliquia o manifestazione divina.
Si dice che in località tortonese vicino a Paderna avvenne nei primi tempi del Cristianesimo una manifestazione divina in triplice forma: di sorgente d’olio, di pietra e di sangue. Per questo motivo che i potenti Vescovi-conte di Terdona ottennero dall’Imperatore, e da Milano, e tennero fino al 1783, un “principato” che comprendeva un piccolo territorio includente tale zona e in totale sette località disposte similmente al carro dell’ Orsa maggiore.
Dal tardo impero si costituì un misterioso e profondo legame spirituale fra Terdona e Milano: Milano fu sempre sollecita ad aiutare Tortona e ne ricostruì più volte il borgo distrutto dai nemici. Un legame che passò per i primi vescovi di Terdona fra cui il nobile Innocenzio Quinzio. Era come se Milano fosse in debito morale con Tortona o come se avessero un grande interesse in comune.
I santi Nazario e Celso ad esempio soggiornarono a Tortona e furono martirizzati a Milano, i resti dei Re Magi sono sepolti in San Eustorgio in Milano. Tre erano i doni portati dai santi Re al Dio neonato, questo il legame. Milano sapeva del Tesoro spirituale nascosto in Terdona e garantiva l’indipendenza e la sopravvivenza di Tortona.
Da quando giunse tale tesoro prodigioso allora, ancor più prodigiosamente, il Castello della la città fu risparmiato dalla distruzione e fu sempre più ingrandito, potenziato e stimato dai Re d’italia gotici e dagli Imperatori carolingi e del sacro Romano Impero.
Teodorico fece del forte di Terdona il granaio per tutta la Liguria. Ancora una volta la sacra Coppa viene associata all’abbondanza e alla sicurezza della terra. In Tortona convissero pacificamente romani e goti, franchi e longobardi: tutti uniti nella venerazione della reliquia e ben influenzati dai poteri della stessa! Persino i bizantini cercano di impadronirsene e di raggiungere Tortona. Solo la presenza segreta della Santa coppa spiega l’importanza di una città ben piccola. Solo la presenza di tale preziosissima reliquia spiega il passaggio per Tortona di Carlo Magno e la presenza in Tortona di figure femminili di stirpe imperiale e regale.
L’imperatrice Giuditta, l’imperatrice Richilde (che fu consacrata tale dal Pontefice nel Castello di Tortona) e alla fine la Duchessa Cristierna di Danimarca, ultima duchessa di Milano, la Coppa era portata in processione da nobili donne. La Coppa e le sue virtù giustificano la grande e non comprensibile autonomia e nobiltà che ebbe per più di 1000 anni la contea Tortonese.
Per alcuni periodi la Santa coppa fu custodita anche nel monastero di Bobbio, in Diocesi di Tortona, e in tempi più recenti nel feudo di Rosano. Relativamente a Bobbio notiamo che il Papa Silvestro II era Abate di Bobbio, della Diocesi di Tortona e assunse lo stesso nome del Papa di Costantino, colui che aveva recuperato la Coppa. Chiaro segnale di strategia e legittimazione divina, ancor oggi nel Museo romano di Bobbio è conservata un anfora che la tradizione ritiene una delle anfore utilizzate alle nozze di Cana.
“…. Come in un vaso d’argento si conserva un aureo monile....” ( San Colombano)
“…. narrano anche, mirabile a dirsi, di un vaso d’argento trasportato da un fiume possente per un ampia distanza, per volere divino, dal Signore trasmesso a Monenna…” ( anonimo).
Queste citazioni sostengono che la Santa Coppa di Cristo fu custodita in Tortona dal 410 fino certamente all’epoca di Federico II. La storia di questo tesoro materiale-spirituale segue le linee invisibili della storia della salvezza.
Fu un oggetto creato dagli angeli su ordine di Dio e poi donato da Lui ad Adamo in occasione della creazione di Eva e dell’unione dei progenitori.
Oggetto dunque sia materiale che spirituale, carico dei carismi di Dio. Fu l’unica cosa che Seth tornò a riprendere nell’Eden durante i 40 giorni concessigli da Dio, e fu poi tramandata da Seth in poi attraverso la stirpe santa: da Enoch a Noè, da Sem a Melchisedek Re di Salem che la donò ad Abramo. Seguì la stirpe di Abramo fino a Mosè che la riportò in Terra santa e veniva custodita nella Tenda della testimonianza, nell’arca dell’Alleanza e con Salomone nel Tempio di Gerusalemme.
Fattane una copia per il Tempio, fu poi affidata ai Magi caldei e da loro portata al Dio-bambino nel giorno dell’Epifania per poi affidarla agli Esseni che la custodirono in una grotta nel deserto. Giunse infine definitivamente a Colui al quale era destinata: il nuovo Adamo celeste, il Cristo, il restauratore dell’Alleanza con Dio, e l’Iniziatore della nuova stirpe eletta. Fu custodita dalla Santa Vergine, da San Giovanni e da Giuseppe d’Arimatea.
La Coppa era portata in processione da nobili donne, e le sue virtù giustificano la grande e non comprensibile autonomia e nobiltà che ebbe per più di 1000 anni la contea Tortonese e anche da tale presenza spirituale invisibile ma fortissima derivò la gloria e la grandezza della sua Diocesi.
L'”ager dertonensis o iriensis” era vasto e comprendeva un area in cui l’influsso di Dertona sopravvisse dal punto di vista ideale anche quando non sussisteva più un corrispondente potere di controllo militare e politico: andava da Villa del Foro (Alessandria) fino a Voghera, dal Fiume Po e da Pozzolo fino a Libarna (Serravalle) comprendendo inoltre cinque valli: Val Trebbia, Val Staffora, Val Curone, Val Grue e Val Borbera.
La stessa configurazione prese poi la Diocesi di Dertona. Per alcuni periodi la Santa coppa fu custodita anche nel monastero di Bobbio, in Diocesi di Tortona, e in tempi più recenti nel feudo di Rosano.
In merito al feudo-monastero-fortezza di Rosano (Rossiano-Roxano-Rubea) c’è da osservare che apparteneva all’Abbazia tortonese di San Marziano e possedeva tre Chiese nonché importanti reliquie come il corpo di San Vitale, e fu poi custodito dalla potente famiglia degli Spinola di Spagna.
In Rosano si venerava San Michele e la Vergine e oggi ancora si può ammirare un affresco del 1400-1500 raffigurante una rara Madonna la quale, mentre allatta, mostra tre fiori porgendo un Gesù bambino ornato da una collana di corallo.
Rosano presidiava anche il guado sul Curone. Durante il periodo carolingio e ottoniano Tortona fu spesso sede di soggiorno e di corte per gli Imperatori e i Papi, i quali si fermavano anche nel territorio tortonese in una località chiamata “Alpe plana”. (Ad esempio Papa Callisto II).
I Vescovi di Tortona erano segretari-consiglieri-ambasciatori degli Imperatori e Principi del Regno Italico: eleggevano-confermavano i Re d’Italia in Milano o Pavia. Essi si dichiaravano soggetti alla Legge Longobardica. Il Tortonese era l’unica regione della Liguria che apparteneva anche alla Longobardìa. Prova ne è che spesso la Chiesa di Tortona più volte nascose e protesse gli Arcivescovi di Milano quando erano oppressi e combattuti dai barbari o dagli Imperatori.
Spesso questi autorevoli e potenti Vescovi mediarono fra l’Imperatore e il Papa nella lotta delle investiture: pur restando fedeli al Pontefice conservavano margini di autonomia e di mediazione.
Ancora nel 1500 il Vescovo Gambara scriveva a Carlo V nel tentativo di riconciliare l’Imperatore con il Pontefice. Altra vicenda epocale fu il terribile assedio che il Barbarossa strinse per due mesi attorno a Tortona, riuscendo a prenderla solo per sete dopo aver avvelenato le sorgenti.
Anzichè sprecare tante vite umane, tempo ed energia contro Tortona invece di scendere subito a Roma a rivendicare i diritti imperiali o indirizzarsi contro città ostili più potenti? Perché l’Imperatore pretendeva il possesso della Santa Coppa, desiderata per le sue virtù di propiziazione e di invincibilità. Il Barbarossa invece di accontentarsi di contemplarla e di adorare il Sangue di Cristo in essa contenuta come avevano fatto gli altri Imperatori, ne rivendicava la proprietà, di qui lo scontro.
Tortona possedeva la soluzione di equilibrio: città dalle radici profondamente romane, contea carolingia, ma anche potente Diocesi fortemente cattolicizzata e governata dai vescovi-conte, territorio in perfetto equilibrio fra Liguria e Lombardia, fra Genova e Milano, città infine da sempre autonoma nel suo territorio e mai interessata da ambizioni espansive. L’unico scopo strategico di Tortona fu: conservare, custodire, perpetuare, consolidare un culto, un rito, una missione, quella di difendere la santa coppa di Cristo.
Quando i Milanesi ricostruirono la fortezza di Tortona dopo la distruzione operata dal Barbarossa fecero tre doni all’amata Tortona consistenti in tre emblemi due dei quali erano la Croce rossa su campo bianco (che dai tempi di Costantino sventolava dagli spalti di Tortona) e il segno del Sole e della Luna. Ennesima conferma della gloria regale ed universale che circondava la Città e che solo la Coppa di Cristo giustificava.
Alla Pace di Costanza Tortona figura fra le città dalla parte dell’Impero, nonostante le due distruzioni subite la tenacia di Tortona vinse e persino il Barbarossa dovette trovare un accordo dignitoso con Tortona e la volle alla fine con se.
La durezza del Barbarossa non fu imitata da Federico II che ricoprì di onori e privilegi Tortona, donandole fra l’altro il diritto di battere moneta, privilegi confermati dall’Imperatore Arrigo VII. Da allora non ebbe più incrinature o decurtazioni l’imperialità della Città di Tortona fino ad Umberto II di Savoia, protettore di Gerusalemme e ultimo conte di Tortona.
Impressionante fu sempre l’elevato numero di famiglie nobili rispetto la ridotta quantità di popolazione: già sessanta nel 1145. La Coppa dopotutto è sempre stata cantata quale fonte di nobiltà e di fecondità, quale culla di regali stirpi.
Altri indizi e conferme di tale presenza e funzione. Tortona possedeva una porta denominata “porta dei Leoni” e posta sul castello verso sud-ovest, simbolo di eccelsa regalità: il Leone difende la coppa dalla direzione simbolicamente più delicata. Come Cristo è nato ad est e come il Nord è dimensione favorevole per la Chiesa cattolica, così il nemico simbolico viene da sud ovest, e va protetta la via per la quale è giunta la Coppa, dal mare, dalla Liguria.
Tortona restò sempre e fino ad oggi appartenente alla regione ligure, di origine celtica: è l’unica Diocesi della Liguria pur non avendo il mare. Lo stesso simbolo del Leone è simbolo che viene dalle legioni romane e tutte le maggiori famiglie nobili di Tortona possedevano tale simbolo. Ma è soprattutto simbolo di Cristo: il “Leone di Giuda“, e conferma quella nobiltà mistica che derivava dalla Coppa e dal servizio ad essa.
Il leone era il simbolo di Lancillotto che era nato nella città del Leone (tanto che alcuni pensavano si trattasse di “Lione” per assonanza ).
Per nobiltà che discendeva dalla presenza della Coppa fu richiesta la presenza dei Tortonesi alle prime Crociate e lo stesso Imperatore Federico II, nonché i Monferrato, volle imparentarsi con i nobili di Tortona.
L’altro simbolo eccelso unito al Leone e unico nel suo genere e che rappresenta araldicamente Tortona, è la Rosa. Il calice è simbolicamente analogo al fiore e al cuore. Come il Leone è il più nobile degli animali così per l’Occidente cristiano la Rosa è il più regale dei fiori.
L’unione dei due, con il Leone che mostra e impugna la rosa volgendosi verso sinistra (in senso antiorario), dimostra una nobiltà spirituale indicibile e inaudita per una piccola città, e lancia un messaggio cifrato: in Tortona Cristo possiede la Sua coppa santa, l’unità è restaurata, è presente il vasello che custodisce il Sangue vivo ed inconsumabile di Cristo, l’anima è colma dello Spirito del Suo Re.
I colori: Leone argentato su fondo vermiglio, i due colori dell’Amore mistico del Cantico delle creature, i colori del potere, e soprattutto lo stesso simbolo dello scudo di Parsifall.
Ancor oggi sopravvivono ulteriori conferme sapienziali di questa tesi: la città è circondata non più da sette colli (spianati per ragioni militari-economiche e consunti dai secoli) ma sempre da sette frazioni (Passalacqua, Torre Garofoli, Monbisaggio, Castellar Ponzano, Vho, Rivalta, Bettole), come le stelle dell’Orsa sono vicine alla Stella polare e come le sette stelle del candelabro di Cristo nell’Apocalisse; oltre a ciò in città da più di due secoli si stampa “l’almanacco del Gran Pescatore di Chiaravalle“, segno evidente dell’unicità ed importanza spirituale della città. E’ il Re pescatore il custode della Coppa E’ Cristo stesso Pescatore di uomini. La Coppa ispirava la profezia e governava la fecondità della terra.
Altri segni curiosi: vicino a Bettole di Rivalta passa una strada chiamata “Strada dell’Imperatore”, e una simile denominazione è presente vicino a Dernice; in Torre Garofoli passa la “strada Cerca” sullo stesso tragitto della via Romea e di San Giacomo di Compostela; San Giovanni Bosco dal Castello di Tortona benedisse la città, l’Italia e il mondo intero con l’auspicio che l’Italia tornasse cuore della luce cristiana sul mondo intero, non è un augurio-preghiera che si comprende meglio se si pensa alla presenza alla Coppa-Cuore di Cristo in Tortona.
Altro segno: Tortona conserva una reliquia della Santa Croce e possedeva una presenza dei cavalieri Templari presso l’ostello-chiesa-porta di San Giacomo (una delle poche loro presenze in Piemonte).
Era compito dei Templari, secondo la loro regola, custodire la Santa Croce. Era sul castello la Cattedrale prima del 1500, solo la Croce santa era da loro custodita e ci sono reliquie della Croce santa in ogni Chiesa cattolica.
Ultimi segni: ancora lo stemma araldico, una corona di alloro e di quercia, segno della perfetta intesa fra celti e romani. Roma tenne lo stesso nome celtico della città invece di imporne uno nuovo, segno che dopo la guerra di conquista era avvenuta una piena saldatura fra il passato celtico e il futuro romano.
L’alloro e la quercia sono inoltre simbolo di massima gloria e di forza. Oltre a ciò è illuminante il motto araldico: “Pro tribus donis Terdona similis Leonis“. Cioè: Tortona è simile a Cristo perché ne custodisce la Santa Coppa, Tempio e ricettacolo della Santissima Trinità, e come i Re Magi la ripresenta a Cristo.
Ecco la spiegazione dell’incredibile numero di Chiese, Conventi, Abbazie, Monasteri e Ostelli per pellegrini che si trovavano a Terdona nel medioevo: era un piccola Roma, una piccola Gerusalemme; la presenza della sacra Coppa ispirava un costruttivo misticismo e il gran numero di luoghi sacri era pure utile a dissimulare il luogo in cui era nascosta la Coppa. Non è altrimenti spiegabile la presenza di un tale numero di ospedali e di ostelli per i pellegrini: in Chiese, Case, Mansioni, e in luoghi che oggi sono Tenute e Cascine e un tempo erano domus di notabili romani.
Non basta la giustificazione che Terdona era situata all’incrocio delle tre vie sante principali: Via Francigena, Via Romea, e Via compostelliana; in realtà è vero anche il contrario: il misticismo che emanava da Terdona e alcune fughe di notizie richiamarono e attrassero turbe di pellegrini per i quali Terdona non era solo una tappa importante nel pellegrinaggio, ma anche una meta stessa di pellegrinaggio.
All’epoca del medioevo il Castello di Tortona doveva apparire estremamente elevato per l’altezza del Colle, i terrapieni e le mura, abbellito da una Torre romana chiamata “Rubea”, cioè Rossa, (anche detta “Tarquinia”) e da una Torre Bianca, e circondato dalle acque, in quanto era circondato dal fiume Scrivia (all’epoca ricco di acque tanto che solo esperti traghettatori erano in grado di passarlo e non esistevano ponti), e dai torrenti Ossona, e Grue.
Era difeso e abbellito per tre lati dall’acqua, nonchè circondato da colline, sentieri, rogge e rocce, oltre ad essere collegato per mezzo di gallerie e cunicoli sotterranei all’Abbazia cistercense di Rivalta (Ripa-alta) e alle Chiese del Borgo sottostante: un paesaggio variegato e fascinoso molto simile a quello del Castello del Re Pescatore, al Castello del Graal e ai luoghi limitrofi come sono descritti nei romanzi cavallereschi del 1200-1300.
L’altezza del Castello e la sua posizione permetteva di metterlo in comunicazione visiva con un territorio molto vasto e significativo: Novi Ligure da un lato, Voghera dall’altro, e verso Genova o la Lunigiana la via dei messaggi era facilmente tracciata in triplice tragitto attraverso una rete fitta di segnalazioni ignee fra forti e Castelli: a) Pozzolo -Novi -Serravalle -Arquata -Castello della Pietra,ecc. b) Vho -Sarezzano -Avolasca -Garbagna -Montebore -Sorli -Cantalupo -Brusamonicac) Volpedo -Monleale -PozzolGroppo -Montemarzino -Brignano -San Sebastiano -Gremiasco -Fabbrica Curone -Varzi -Oramala, ecc.
Tutti luoghi di origine militare celtica, rifondati da romani, longobardi e franchi per la difesa dai saraceni e dai bizantini, luoghi in cui passava la “strada del sale”.
Nel primo medioevo tutta la regione ligure dell’entroterra era chiamata “Patrimonio delle Alpi Cozzie” e apparteneva alla Santa Sede, uno dei primi feudi della Chiesa di Roma. Fu usurpato dai Longobardi e poi restituito al Pontefice dal Re Ariperto. Da qui la dignità di Principi dei Vescovi di Tortona, e il loro fregiarsi, nel blasone vescovile, di una Spada accanto al Pastorale.
Non è certo fino a quando restò tale tesoro nella città di Tortona, il fatto che il Maresciallo imperiale Suwaroff il 13 maggio 1799 emanò da Tortona il suo mistico proclama al popolo piemontese è segno che ancora fosse conservata nel Castello la reliquia. Era un incitamento a difenderla, oppure era una preparazione del suo ritorno nel luogo che per tanto tempo l’aveva accolta.
E’ per questo motivo che Napoleone, furioso per non avere trovato ancora la Coppa, distrusse fin dalle fondamenta, e con metodo, il grande, ma da tempo militarmente inutile, Castello di Tortona.
Ci sono ancora molte vie in Tortona verso il mistero: i sotterranei del Castello, le cripte delle Chiese più antiche, i documenti sulla storia della Città, l’iscrizione in latino nella corte di Rosano (chi la legge intuirà la gloria della Rosa), e il misterioso mausoleo dell’Imperatore Majorano sito nella Chiesa di San Matteo (un cubo ermeticamente chiuso di 9 metri per 9).
Non si conosce cosa custodisce da millenni il Mausoleo.
Altri indizi della tesi interpretativa sono nascosti nei significati dei nomi. Arth-ur: significa in celtico: Orso, e indica la costellazione dell’Orsa maggiore, e oltre a ciò contiene la radice in sanscrito “ur“, identica in greco e latino, significante: “fuoco” (pyr-purificazione, iride, urano, uro, ira, curia, ecc.), inteso come segno di potenza, ardore, audacia, zelo e sacro impeto.
La stessa radice sanscrita-greca-latina si ritrova nel nome “Cur-one“, valle e fiume prossimo a Tortona, nel nome “Iria” cioè l’attuale fiume Scrivia che con i suoi flutti impetuosi difendeva la città, e nel nome “Lig-ur-ia“, ove “Lig” deriva dalla divinità celtica Lug, guerriero celeste munito di fulmine e lancia (simile simbolicamente a San Michele). Anticamente Derton possedeva anche un secondo nome: Antilia o “Antiria“, cioè davanti all’Iria (cioè davanti al fiume ma anche: davanti al Fuoco).
Tutto ciò conferma l’importanza sacrale di Tortona e la diffusione del culto del Fuoco, di Vesta e di Giove (sulla sommità del Colle Savo s’alzava il Tempio di Giove capitolino).
La tradizione guerriera dei Liguri si perpetuò ed accrebbe sotto le insegne di Roma. “Parsifall” significa: valle dei Persiani o Valle dei giardini, cioè la Val Curone, in cui risiedevano comunità di Armeni e di ebrei, ed era famosa per la sua vegetazione lussureggiante.
“Parsifall” ricorda il rapporto della sacra Coppa con i Re Magi e l’Oriente. Queste considerazioni non implicano un voler screditare la nordicità del ciclo bretone, ma dimostrano che non esistono contestualizzazioni esclusive per gesta cavalleresche che possono aver tratto ispirazioni da più regioni e da più epoche.
“Ginevra” era in realtà Genova stessa, “Monserrat” era Monte Spineto, (detto anche Monte Arimanno) luogo sacro e rifugio dalle invasioni barbariche, luogo che serra la valle dello Scrivia (Iria) presso l’attuale Serravalle.
I potenti Marchesi di Monferrato, audaci sostenitori della Crociata e imparentati con gli Imperatori, mai vollero conquistare Tortona ma anzi si imparentarono con le sue famiglie più nobili. E’ evidente la profonda simbologia della parola: “Mons-ferrat”.
Molti toponimi del tortonese contengono la parola “spina”, e ciò significava una funzione di difesa e di relazione in rapporto alla sacra Coppa di Cristo.
La Spina difende la Rosa, cioè il Calice sacro. Oltre al precedente un altro esempio: Spineto Scrivia, nella contea-principato del Vescovato.
Una delle più potenti e nobili famiglie del Tortonese erano i “Malaspina”, decantati da Dante Alighieri e di cui il Poeta fu ospite nel Castello di Oramala, e gli Spinola. “Lionello” era Villa del Foro e Libarna.
“Lionello” significava: il piccolo Leone, i piccoli del Leone, cioè le due filiazioni della Colonia Dertona. “Galvano” era Galgano, cioè chi, imitando il santo cavaliere, andava in mistico pellegrinaggio verso San Michele (di Susa o del Gargano). La linea di San Michele partiva da San Michele in Normandia e arrivava a Gerusalemme passando per Tortona e il Gargano.
“Lancillotto” era connesso con Asti = “Hasta” = Lancia. La Lancia non è lontana dalla Coppa e la Coppa non è lontana dalla Lancia. Non era la Coppa il simbolo di Lancillotto, per la Quale aveva lasciato tutto vivendo in una perpetua ricerca? Non era Asti il luogo famoso in tutta l’antichità per la confezione di calici e coppe? Presso Frugarolo, in territorio dertonese, nel 1300 venne affrescata la stanza di una piccola residenza nobiliare con il ciclo di Lancillotto, dipinto mentre combatte contro i sassoni. Questo è che la sopravvivenza epica della memoria delle gesta dei cavalieri tortonesi romano-cristiani sotto Aureliano e sotto Maiorano contro i marcomanni.
“Sarras” era Sarezzano: luogo vicinissimo a Terdona in cui si elevava una rocca celtica antichissima. I famosi boschi di Parsifall e scenario di tante avventure, ricchi di selvaggina e di cavalieri che vagavano, non erano altro che i boschi della Fraschetta (ormai aimè non più esistenti!) luogo prediletto dai Goti, dai Longobardi e dai Franchi per l’arte della caccia. La Tavola era la rocca stessa: tutto il forte e lo stesso borgo si sviluppa in un perfetto cerchio attorno alla roccia del Colle Savo.
Se a questo si aggiunge che sul Forte era venerata una Madonna Nera il cui ritratto è ancora conservato nella cattedrale di Tortona e i cui occhi trasmettono una terribile dolcezza, e se consideriamo che la posizione astrologica di Tortona è favorevolissima, contemplando ad esempio un dominio di Saturno nel mese di dicembre (Saturno è il protettore e dispensatore delle ricchezze occulte, nume dell’essere e della sapienza), e se ricordiamo che Tortona era ricchissima di acqua e attraversata da numerose sorgenti, canali, rogge e chiuse, il quadro sapienziale è completo e rarissimo.
Lo stretto legame sussistente fra Tortona e i santi monaci irlandesi che vi giunsero (per poi portarsi a Cella di Varzi e a Bobbio) rappresenta un ulteriore conferma della credibilità della tesi sostenuta della vicinanza del Graal a Tortona.
Non solo il grande San Colombano ma molti altri monaci irlandesi, scoti, britannici e bretoni giunsero nell’ager di San Marziano per salvare tesori spirituali e anime e regni. Sugli appennini liguri vivevano ancora comunità celtiche isolate di cui nessuno più capiva il linguaggio tranne i monaci itineranti irlandesi.
Come fu per il Regno sacro e spirituale dei Re dei britanni fino ad Arturus così fu per il Marchesato-Contea di Tortona: un Regnum invisibile riconosciuto solo da e fra i nobili, i cavalieri e i monaci che ne condividevano la segreta esistenza: un vassallaggio parallelo ed autonomo, in quanto interiore e spirituale, rispetto a quello tipicamente feudale.
Dopotutto Tortona sfugge ad ogni chiara e canonica classificazione feudale e dinastica, essendo un equilibrio perfetto fra Impero e Papato: i Vescovi di Tortona erano conti e principi, ma la corona della Città è del Marchesato, il territorio era lombardo e imperiale, ma nello stesso tempo apparteneva al Patrimonio di Pietro, i nobili maggiori di Tortona erano imparentati con l’Imperatore ma pure reggevano un Comune molto autonomo e mai eretico.
E se Merlino e San Patrizio fossero la stesa persona? Questa idea rafforza e chiarifica ulteriormente la vocazione spirituale di Tortona.
Molte sono le concordanze fra le loro figure e storie: entrambi nascono britanni, anzi romano-britanni, entrambi viaggiano molto e vivono a lungo, entrambi sono figure di profeti-sacerdoti ed esorcisti, entrambi sono di nobile stirpe e consiglieri di re, entrambi vivono molti anni in Gallia (San Patrizio dal 415 al 432) per poi ritornare in Britannia, entrambi erano fra gli ultimi a conoscere molto bene la cultura celtica e in particolare i riti dei Druidi.
C’è da considerare infine che il periodo storico coincide perfettamente: dalla partenza delle legioni romane nel 410 al predominio dei sassoni in Inghilterra. San Patrizio aveva 19 anni nel 410 e 59 anni nel 450; data fatidica: l’unica data certa del ciclo epico, l’anno in cui Galaad, il Cavaliere vergine perfetto, si siede sul seggio periglioso portando a compimento le profezie ed iniziando le ultime imprese della cavalleria spirituale, che porranno fine ai tempi avventurosi, in cui Cristo aveva chiamato eroi e cavalieri a lottare contro le ultime forze infere che ancora vagavano per la terra e tentavano invano di resistere al nuovo Regno di Cristo.
Pochi anni dopo il 450 iniziò il crepuscolo del Regno britannico e Arturus, ferito ma non vinto nè morto, come i Re pescatori, si occultò nell’invisibile da dove aspetta, con Federico II e Merlino, il tempo previsto per risvegliarsi, novelli Elìa, al combattimento finale contro le forze del male.
Se Merlino è San Patrizio allora non solo dal sud ma anche dal nord la Coppa segnò la via passando per Tortona.
Si vuol sostenere che i nomi dell’epica cavalleresca medioevale non risultano tanto nomi specifici di persone, quanto soprannomi di battaglia, quali nomi-segni ideali, quali tipologie interiori, quali maschere simboliche che più persone e più generazioni hanno indossato e incarnato, in connessione con determinati luoghi spirituali e azioni rituali!
Questa tesi non vuole giungere alla conclusione che non siano esistiti personaggi storici cavallereschi e militari nel primo medioevo che abbiano ispirato tradizioni eroiche (Artù-Lancillotto-Parsifall-Galvano), e neppure vuol sostenere che non siano accadute in Britannia, Bretagna, Provenza, Svizzera, Spagna e Persia, gesta cavalleresche poi idealizzate caratterizzate dalla fusione fra le ultime sopravvivenze di un mondo romano cavalleresco e militare con un Cristianesimo fresco e mistico-eroico; ma semplicemente si vuol sostenere che anche il territorio Tortonese si inscrive a pieno titolo in questo panorama simbolico, in questa geografia sacrale che tanta ispirazione diede all’epos e alla religiosità occidentale. Una storia ancora viva: chi si rechi in prossimità della Torre–mansione del ponte di Cassano sullo Scrivia ancora sente palpitare una forte sacralità del luogo.
Una storia ancora vicina: pochi anni dopo la seconda guerra mondiale ad Angela Volpini, allora bambina, a Casanova Staffora (PV), in Diocesi di Tortona, apparve la Santa Coppa di Cristo.